Appalti

Ppp, il parere preventivo Dipe-Rgs: disamina necessaria o rallentamento evitabile?

Nella cornice del Pnrr il parere obbligatorio previsto dal Dl 36/22 rischia di diventare il classico granellino di sabbia che inceppa il meccanismo

di Claudio Guccione, Maria Ferrante, Ivo Allegro

La strategicità del Partenariato Pubblico Privato (PPP) per il PNRR
"Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione". L'aforisma del 1957 di Longanesi fotografa un male atavico connesso alla gestione delle infrastrutture che in Italia è deflagrato in modo clamoroso dai primi anni del 2000 (basti pensare al degrado crescente delle strade italiane) e che incide fortemente sul contributo delle nostre infrastrutture alla produttività nazionale e che, quindi, dovrebbe preoccupare non poco rispetto al PNRR e ai 240 miliardi di spesa pubblica a questo connesso.

Difatti, con un debito pubblico a quota 2.785 miliardi, un PIL che nel 2022 si dovrebbe attestare a 1.830 miliardi (con il trend del rapporto Debito/PIL prossimo al 160%), un inflazione tendenziale che viaggia tra il 7% e l'8%, i tassi di interessi in ripresa, il pareggio di bilancio che rientrerà in vigore nel 2023 e uno "scudo anti-spread" più penalizzante rispetto al passato, il problema delle performance in fase di gestione diventa una questione centrale degli investimenti pubblici del PNRR che genereranno nuovo debito pubblico (se integralmente spesi) per circa 170 miliardi (9 punti di PIL ai valori attuali). Senza un forte contributo alla crescita della produttività nazionale connesso a questa spesa pubblica addizionale (prima del COVID la spesa in conto capitale si attestava poco sotto i 60 miliardi) e, quindi, al PIL prospettico che dipende dalle effettive e durevoli performance in fase gestionale delle infrastrutture create o modernizzate con il PNRR, infatti, la spirale del debito rischia di diventare micidiale.

In questo scenario, è chiaro che il PPP possa giocare un ruolo strategico andando sostanzialmente a risolvere due grandi problematiche che si stanno già palesando nel PNRR:
1.Le difficoltà di progettazione e implementazione efficace, tempestiva e qualitativamente elevata degli interventi – il PPP evidenzia, difatti, una netta superiorità rispetto agli appalti in tutti i campi sopra delineati;
2.La sicurezza delle performance gestionali e manutentive a costi predefiniti – che è l'altro elemento strutturalmente forte di un PPP in cui non solo non si devono individuare con due procedimenti separati gli esecutori e i gestori dell'infrastruttura (con ovvi minori tempi e minori rischi di individuazione ambigua delle responsabilità) ma in cui il partner privato, trovando la parte prevalente della remunerazione dell'investimento nella fase di gestione, è naturalmente orientato a garantire le performance nella fase operativa.

Non a caso, sono già molteplici i casi dell'utilizzo dello strumento o del rilevante stimolo al suo ricorso presenti nell'attuazione del PNRR: dal Polo Strategico Nazionale all'avviso AGENAS per la piattaforma nazionale di telemedicina, dal "bando borghi" al possibile ricorso allo strumento per lo sviluppo dei c-labs (laboratori di scrutinio e certificazione tecnologica) in attuazione della Missione 1.5 del PNRR. Tale trend sembra però scontrarsi con il crescente "sentimento di attesa, quasi messianica, di maggiore spesa pubblica" e con la "troppa fiducia nelle virtù salvifiche dello Stato e nell'intervento pubblico.

L'opportunità del parere DIPE-RGS
Rispetto al quadro delineato, è noto come, a fronte degli indubitabili vantaggi, il PPP si presti ad alcune distorsioni che sembrano essere state l'elemento guida di preoccupazione del recente intervento normativo dell'art. 18 bis del DL 36/2022 introdotto dalla legge di conversione 29.06.2022, n. 79.

Molti osservatori attenti dello strumento hanno accumulato in tempi recenti non pochi dubbi, ad esempio, sull'utilizzo, forse disinvolto, della normativa emergenziale che "sospendeva" alcune disposizioni del Codice dei contratti pubblici, così come talvolta pari disinvoltura è emersa rispetto ad alcune operazioni, anche di dimensioni estremamente rilevanti, che hanno riguardato l'Edilizia Residenziale Pubblica in cui unitamente a cessioni integrali del bonus 110% a favore del privato si sono registrati anche contratti di gestione di durata ventennale con ipotesi di riduzione del carico energetico inferiori al 5% (nonostante le due classi di miglioramento energetico). Suscitano non poche perplessità, in questi casi, sia l'utilizzo disinvolto di regole contabili dedicate ai contratti EPC (che non necessariamente si attagliano ai contratti di PPP), sia delle norme che prevedono specifiche regole di contabilizzazione nel PPP a fronte di fondi provenienti da accordi intergovernativi come quelli dei fondi strutturali e della coesione che non si ritiene siano applicabili a Next Generation EU (ma su questo un intervento della RGS sarebbe importante).

In tal senso, in termini generali è da accogliere con favore il potere di intervento assegnato al DIPE e al MEF-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato che saranno incaricati della "valutazione della corretta impostazione di tali progetti, in particolare rispetto all'allocazione dei rischi e alla contabilizzazione"; poiché, per l'appunto, tale intervento può rivelarsi importante per distinguere una volta per tutte le operazioni di PPP sane da quelle, di dubbia legittimità, nate opportunisticamente per mutuare i vantaggi procedimentali del PPP di iniziativa privata , ma che al contempo consentono all'amministrazione di sgravarsi dalle attività di progettazione, sempre più difficili da svolgere tempestivamente all'interno degli uffici pubblici.,

I limiti della disciplina delineata nel DL 36/22
Al di là del valore aggiunto che dal parere del DIPE di concerto con il MEF potrà derivare soprattutto nel contesto di alcune operazioni particolarmente complesse non può sottacersi che essendo i tempi di attuazione del PNRR particolarmente stringenti, dunque già difficilmente compatibili con i tempi ordinari delle procedure di PPP, il parere in questione rappresenta indubbiamente un evitabile aggravio procedimentale, in antitesi con i proclami di semplificazione che hanno denominato, a ben vedere più che sostanzialmente connotato, la normativa più recente.

Aggravio evitabile perché il parere sembra previsto non solo per vagliare la documentazione che compone una proposta di PPP ad iniziativa privata (art. 18-bis, comma 4), ma anche per esaminare preventivamente un'operazione di PPP ad iniziativa pubblica (comma 3). Nel merito della documentazione necessaria, riepilogata dal successivo comma 5, trattasi del progetto di fattibilità tecnica ed economica, della bozza di convenzione, del piano economico-finanziario asseverato con formule visibili, della matrice dei rischi e della specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione. Ed è proprio a proposito delle operazioni ad iniziativa pubblica che ci si chiede perché le Amministrazioni dovrebbero predisporre la suddetta documentazione, certamente molto impegnativa, quando per pubblicare un bando è sufficiente predisporre il progetto di fattibilità tecnica ed economica spettando difatti al concorrente predisporre un'offerta contenente il progetto definitivo, il PEF, la bozza di convenzione (e relativa matrice dei rischi) e la specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione (in sostanza, un capitolato gestionale).
Difatti, qualora il parere fosse negativo, la documentazione andrebbe modificata o addirittura l'operazione annullata.

È previsto poi che il parere sia obbligatorio ma non vincolante, ciò che comunque rappresenterà un forte disincentivo per gli amministratori pubblici che, difatti, per potersene discostare devono emettere un provvedimento motivato "che dia conto delle ragioni della scelta, nonché dell'interesse pubblico soddisfatto".

La previsione per certi versi fa tornare alla mente il parere del Consiglio di Stato n. 775/2017 sulle linee guida ANAC n.9/2018 relative al monitoraggio delle operazioni di PPP in cui è stato chiarito che la prima parte di queste, in cui ricade la previsione di un VAN pari a zero, non sarebbe vincolante: anche in quel caso, difatti, sono agevolmente immaginabili i timori dei funzionari pubblici che, qualora volessero discostarsi, con adeguata motivazione, dalle linee guida , potrebbero andare incontro a censure per aver consentito al privato di appropriarsi di supposti "margini di extra-redditività".

Inoltre, non è chiaro il riferimento alla necessità del parere per "progetti…di importo superiore a 10 milioni di euro, da calcolare ai sensi del medesimo codice." Potrebbe ipotizzarsi che il richiamo del codice sia implicitamente una volontà di applicare l'art. 167 secondo il quale il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, ma visto che ciò comporterebbe la necessità del parere per contratti di PPP di importo modesto residua il dubbio, che auspicabile venga chiarito, che il Legislatore voglia piuttosto riferirsi al valore degli investimenti

Conclusioni
Nella cornice del PNRR il parere obbligatorio previsto dal DL 36/22, seppur rispondente a un generale fabbisogno di tutela dall'utilizzo distorto del PPP ravvisabile in talune operazioni, rischia di diventare, alla luce di quanto sopra delineato, il classico granellino di sabbia che inceppa il meccanismo del PPP, già di per sé complesso, svilendone il potenziale, fondamentale invece alla luce della rilevanza per il nostro paese della posta in gioco sul PNRR
Sarebbe quindi auspicabile, in linea con i recenti, talvolta abusati, proclami di semplificazione della recente normativa, modificare la nuova disciplina chiarendo che tale parere è previsto, in via facoltativa e non obbligatoria, solo per valutare le proposte ad iniziativa privata.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©