I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di edilizia

di Esper Tedeschi

Demolizione e ricostruzione – Area vincolata – Nuova costruzione – Aumento volumetrico – art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380 del 2001
La demolizione e ricostruzione del manufatto, insistente in area vincolata, con mutamento di sagoma – determinata dall'incremento della pendenza delle falde di copertura – ed aumento volumetrico, si qualifica come nuova costruzione. È dirimente in proposito l'art. 3, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001 laddove recita: “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza dell'1 settembre 2022, n. 7625

Permesso di costruire – Autorizzazione paesaggistica – Opere ineseguibili in assenza di autorizzazione
L'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 stabilisce, ai commi 1 e 2, che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, devono “astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione”, dalle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico. Al comma 4, inoltre, la norma precisa che “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio.”; sulla base di tali previsioni questo Consiglio di Stato ha già da tempo affermato il principio secondo cui la mancanza di autorizzazione paesaggistica rende di fatto le opere ineseguibili, in ragione del divieto di cui all'art. 146 comma 2, e giustifica, in caso di realizzazione, provvedimenti inibitori e sanzionatori; correlativamente il titolo edilizio nel frattempo eventualmente rilasciato, in assenza dell'autorizzazione paesaggistica, non è invalido, ma è inefficace.
Consiglio di Stato, sez. VI, 5 settembre 2022, n. 7701

Titolo edilizio – Onere della prova – Elementi indiziari – Mancato rinvenimento del titolo edilizio
La circostanza che non sia stato rinvenuto agli atti del Comune il titolo edilizio non può tradursi in un ostacolo per il rilascio del titolo richiesto. Infatti, l'onere della prova in ordine alla sussistenza di pregressi titoli abilitativi può risultare soddisfatto anche in via indiziaria, dalla documentazione prodotta in giudizio. D'altro canto, l'articolo 9-bis, comma 1-bis, del TU edilizia, come recentemente modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, prevede: “1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia”.
Tar Campania, sede di Napoli, sez. II, 7 settembre 2022, n. 5644

Legge n. 10 del 2013 – L.r. Campania n. 5 del 2013 – Sviluppo sostenibile dei contesti urbani – Consumo del territorio
La L. n. 10/2013, recante “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, ha introdotto un complesso quadro di disposizioni, principalmente volte a garantire lo sviluppo sostenibile dei contesti urbani, cercando, in particolare, di contenere il consumo del territorio, equilibrando lo sviluppo edilizio con la presenza di spazi verdi e ripensando a una riqualificazione dell'edificato esistente. Si tratta di una prospettiva che si allinea agli indirizzi espressi: - sia sul piano europeo, fin dalla comunicazione della Commissione del 22 settembre 2006, “Strategia tematica per la protezione del suolo”, e più recentemente dall'approvazione del cosiddetto Settimo programma di azione per l'ambiente (decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013), che ha condotto alla definizione dell'obiettivo di raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero per il 2050; - sia sul piano internazionale, laddove con l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 2015, si è previsto l'obiettivo di rendere le città e gli insediamenti umani, tra l'altro, più duraturi e sostenibili, garantendo l'accesso di tutti a superfici verdi e spazi pubblici sicuri e inclusivi (cfr. obiettivo n. 11). L'articolato quadro normativo di riferimento gravita attorno alla piena valorizzazione, in una visione innovativa del concetto di territorio, della relazione esistente tra comunità territoriale e l'ambiente che lo circonda, “nella consapevolezza del suolo quale risorsa eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell'equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 16 luglio 2019). In tale contesto normativo si inserisce la l. r. Campania n. 5 del 2013 che persegue l'obiettivo, di per sé rilevante, di garantire che ogni forma di beneficio pubblico in materia sia volta ad assicurare non solo il perseguimento delle specifiche finalità abitative e sociali sue proprie, ma, al tempo stesso, anche quegli obiettivi, di più ampio respiro per l'intera comunità territoriale, di salvaguardia valoriale delle matrici ambientali e culturali che, si ribadisce, trascendono l'ambito spaziale e temporale della scelta edificatoria; obiettivi che necessariamente impongono interventi di contrasto al fenomeno del consumo del suolo, in una visione armonica e prospettica di sviluppo del territorio in cui detti alloggi andranno appunto ad inserirsi.
Tar Campania, sede di Napoli, sez. V, 7 settembre 2022, n. 5649

Mutamento rilevante destinazione d'uso – Art. 23-ter, d.lgs. n. 380 del 2001 – Categorie – Ostacoli – Mutamento meramente funzionale
L'art. 17, comma 1, lett. n), del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha introdotto l'art. 23-ter del d.lgs. n. 380 del 2001 (la cui rubrica reca “Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”). In base a quest'ultimo costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. Come noto, secondo la giurisprudenza, anche un mutamento di destinazione d'uso meramente funzionale, ovvero senza la realizzazione di opere edilizie, nel caso di mutamento tra una delle succitate destinazioni determina, senza necessità di una verifica in concreto, una variazione degli standard urbanistici ed è perciò in grado di incidere sul tessuto urbanistico della zona. In sostanza, in difetto della presenza di ulteriori ostacoli in concreto rinvenibili in diverse e puntuali previsioni dello strumento urbanistico, appare possibile effettuare una variazione senza opere comunque solo all'interno delle categorie indicate. Secondo la giurisprudenza poi la categoria uffici e quella residenziale è omogenea, e quindi tale modifica sarebbe possibile in astratto, e ammissibile senza permesso di costruire ma con mera segnalazione certificata di inizio attività, salvo il Comune non individui ostacoli.
Tar Abruzzo, sede di Pescara, sez. I, 9 settembre 2022, n. 344

Oneri di urbanizzazione – Permesso di costruire rinunciato o utilizzato parzialmente – Diritto alla restituzione
Nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla pubblica amministrazione, anche ai sensi dell'art. 2033 o dell'art. 2041 cod. civ., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione, per cui l'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 15 giugno 2021, n. 4633 e precedenti ivi richiamati).
Tar Umbria, Perugia, sez. I, 9 settembre 2022, n. 696