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Scozzese (Roma): «Fondi locali da ripensare, Roma aspetta 130 milioni»

Intervista a Silvia Scozzese, assessore al Bilancio del Comune di Roma, ex dirigente Anci, direttrice scientifica dell’Ifel e consigliera della Corte dei conti

di Gianni Trovati

«Sul superamento della spesa storica nella distribuzione dei fondi ai Comuni bisogna accelerare. Roma ha diritto a 130 milioni in più e non possiamo aspettarli per sette anni. Ma quel che occorre è un ripensamento integrale del sistema dei finanziamenti comunali, nato in un mondo che non c’è più».

Silvia Scozzese fa il complicato mestiere di assessore al Bilancio del Comune di Roma. Ma da ex dirigente Anci, direttrice scientifica dell’Ifel e consigliera della Corte dei conti ha uno sguardo che va oltre i conti capitolini. E nella stretta attualità della finanza locale, segnata dalla bocciatura costituzionale dei vincoli ai fondi per il welfare e dal mancato accordo Governo-Comuni sui fondi 2023, vede il segno che un check up complessivo non è rinviabile.

La sentenza 71/2023 della Consulta chiede nuove regole per cancellare i vincoli di destinazione dei fondi per welfare e asili nido. Che cosa comporta?

La Corte coglie un nodo cruciale: i fondi per asili e welfare non devono entrare nella perequazione, e questa a sua volta va conclusa in fretta, ma non si possono finanziare due interventi, perequazione e welfare, con le stesse risorse. Il fondo di solidarietà, con cui i Comuni più ricchi sul piano fiscale aiutano quelli più poveri, nasce per allineare le entrate degli enti alla spesa standard per le loro funzioni. Su questo impianto sono state poi innestate le risorse per asili nido e assistenza sociale, ma confondere i due meccanismi rischia di far fallire entrambi gli obiettivi.

Come si rimedia?

Quando è nato il fondo si è costruita una perequazione orizzontale, fra Comuni, senza un intervento dello Stato. Ora va riesaminata quella scelta, perché il mondo è cambiato. Certamente non ci si può limitare a trasferire alla perequazione generale una quota dei fondi oggi vincolati, perché così rimangono scoperti asili e welfare.

Tradotto, servono più fondi?

Non c’è dubbio che il percorso di superamento della spesa storica vada accelerato, anche perché l’inflazione fa crescere i costi a ritmi molto più veloci del previsto. Nel frattempo sui Comuni si scaricano esigenze nuove: siamo certi per esempio che fenomeni enormi come l’invecchiamento della popolazione, da affrontare con lo sviluppo dell’assistenza territoriale come ci ha insegnato anche la pandemia, possano essere gestiti con un sistema pensato 10 anni fa? Il tutto mentre una polarizzazione che esiste in tutto il mondo sviluppato riversa sulle città ogni giorno centinaia di migliaia di pendolari che utilizzano servizi, per esempio l’igiene urbana, pagati solo dai residenti, con un impatto totalmente ignorato dai meccanismi di tassazione e perequazione. Per non parlare degli investimenti.

Ma su questo i Comuni sono stati riempiti di risorse dal Pnrr.

Sì, ma gli investimenti generano spesa corrente strutturale, perché le opere e i servizi vanno poi gestiti anche dopo il Piano.

A patto di riuscire a realizzarli.

Anche su questo le regole vanno aggiornate alla realtà. Se non rivediamo profondamente le modalità di ingaggio e remunerazione dei dipendenti, nei Comuni i tecnici che servono non arriveranno mai.

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