Appalti

Bei: servono più risorse alle infrastrutture (soprattutto in Italia)

di Beda Romano

L’economia europea è alle prese con un ritardo negli investimenti infrastrutturali che potrebbe minare la sua competitività, ha spiegato nel suo ultimo rapporto annuale la Banca europea per gli investimenti (Bei). La relazione dell’istituzione creditizia, pubblicata ieri, mette l’accento anche sulle difficoltà italiane, in particolare delle municipalità pubbliche più che delle imprese private. I comuni italiani sono quelli che più si lamentano di investimenti insufficienti.

«Probabilmente non abbiamo più bisogno di stimolare gli investimenti per motivi puramente anti-ciclici, ma abbiamo bisogno di affrontare il ritardo negli investimenti che si è creato durante la crisi in modo da risolvere le necessità strutturali di lungo termine – ha detto il presidente della Bei, il tedesco Werner Hoyer –. Più importante ancora, dobbiamo convogliare gli investimenti verso quelle aree che permetteranno un aumento della crescita potenziale europea».

Mentre finora gli investimenti - generati anche dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi, meglio noto come Piano Juncker) - sono stati utili per evitare una spirale deflazionistica, con la ripresa economica la Bei considera come sia necessario rivedere l’uso della spesa, puntando su quella infrastrutturale. Ciò è tanto più urgente perché il tasso di investimento dei governi europei è ai minimi degli ultimi 20 anni (al 2,7% del prodotto interno lordo nel 2016).

Secondo i dati della Bei, gli investimenti in generale sono cresciuti in media annua del 3,2% dal 2013 in poi, rispetto a una crescita media del 2,8% tra il 1995 e il 2005. In campo infrastrutturale, la spesa rimane però inferiore del 20% ai livelli pre-crisi. Molti paesi per rimettere ordine nei conti pubblici hanno ridotto gli investimenti. Sul versante privato, le imprese non citano più il credito bancario quale ostacolo maggiore per investire. Il freno è soprattutto legato alla mancanza di personale preparato.

Sul fronte italiano, la situazione è fragile. Oltre il 45% dei comuni considera che gli investimenti sono stati finora insufficienti. Si tratta della quota più elevata in Europa. A titolo di confronto, questa è del 40% in Spagna, del 38% in Germania e di circa il 20% in Francia. Di converso, l’Italia è il paese dove più basso è stato l’aumento degli investimenti da parte dei comuni in questi ultimi cinque anni. Le imprese private considerano invece che la spesa è stata generalmente appropriata negli ultimi tre anni.

Nel rapporto dell’istituzione comunitaria, le imprese italiane sottolineano due ostacoli particolari: l’incertezza del futuro e la regolamentazione sul mercato del lavoro. Fattori meno negativi, ma sempre presenti, sono la carenza di personale con la giusta preparazione; la presenza di costi elevati dell’energia; il mancato accesso alle necessarie risorse digitali; l’elevata tassazione e l’eccessiva burocrazia; così come le carenze nei trasporti e nella finanza.

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