Personale

Indennità di risultato, l’assenza dei parametri impedisce la valutazione della produttività

di Giuseppe Nucci

Costituisce danno erariale la deprecabile e diffusa prassi di riconoscere l’indennità di risultato secondo modalità autoreferenziali da parte di chi valuta e, cioè senza definire preventivamente né la percentuale di raggiungimento degli obiettivi medesimi né i relativi indicatori. È questo il principio affermato dalla sentenza n. 71/2018 della Corte dei conti, sezione per il Lazio (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 13 febbraio).

L’assegnazione degli obiettivi
Il direttore generale di una Ausl aveva riconosciuto al direttore sanitario e a quello amministrativo il raggiungimento degli obiettivi assegnati e disponeva le conseguenti indennità economiche. Al riguardo, però, era emerso che il direttore non aveva predeterminato gli indicatori per la valutazione né le percentuali di raggiungimento e, quindi, la Procura erariale lo citava in giudizio in quanto la valutazione sarebbe avvenuta senza basarsi su riscontri effettivi, con ciò determinando un danno erariale di 63.164,82 euro, corrispondente all'ammontare delle indebite integrazioni stipendiali riconosciute e corrisposte.

La sentenza
La sezione accoglieva la domanda risarcitoria della Procura evidenziando che il contratto individuale di lavoro sottoscritto dal direttore sanitario e da quello amministrativo stabiliva che “ai sensi del D.P.C.M. n. 502/1995, il trattamento economico può essere integrato di un'ulteriore quota, fino al 20% dello stesso, sulla base dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi fissati annualmente dal Direttore Generale e misurati mediante appositi indicatori. La corresponsione del predetto incremento del 20% è subordinata alla verifica, da parte del Direttore Generale, del raggiungimento degli obiettivi prefissati". L’erogazione del compenso aggiuntivo era, quindi, subordinata alla sussistenza di determinati presupposti, non altrimenti surrogabili: 1) l'assegnazione da parte del direttore generale, ex ante, anno per anno, ai singoli direttori, di specifici obiettivi da raggiungere; 2) la fissazione di parametri per la misurazione dei risultati medesimi; 3) l'accertamento ex post dei risultati di gestione ottenuti da ciascuno di essi.
Il meccanismo - chiariva il giudice contabile - è recepito anche nell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 in quanto i canoni di efficacia ed efficienza entrano a pieno titolo anche nel circuito della razionalità dell’agire amministrativo, attraverso il miglioramento della performance degli apparati e, tra i corollari che ne discendono, vi è quello della “misurazione dell'azione amministrativa”, basata sull’assegnazione di specifici obiettivi da raggiungere e sull'accertamento ex post dei risultati di gestione effettivamente ottenuti sulla base di parametri prestabiliti per la misurazione dei risultati stessi. Viceversa, precisava il Collegio, in relazione alle delibere con le quali erano stati dichiarati raggiunti i risultati prefissati, con conseguente riconoscimento dell'integrazione del trattamento economico ai relativi dirigenti, il direttore generale non aveva fornito alcun riscontro in merito ai criteri e agli indicatori adoperati per la valutazione, limitandosi alla formula “si delibera di ritenere pienamente raggiunti gli obiettivi”.
Di conseguenza il Dg veniva condannato, per l’ingiustificato esborso finanziario, essendo incorso nella violazione dei principi generali e della disciplina di riferimento, non ancorando, come avrebbe dovuto, la corresponsione dell'integrazione retributiva a parametri oggettivi e misurabili e, quindi, attribuendo il compenso accessorio senza alcun riscontro oggettivo alla produttività dei beneficiari.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©