Amministratori

Parità di genere nei Comuni minori, fuori dal consiglio gli eletti se la lista viola le quote rosa

La Corte costituzionale aveva concluso che anche per gli enti più piccoli vale l'inderogabile osservanza della parità di genere

di Michele Nico

Dopo le affermazioni di principio, cambia volto e si tinge di rosa l'accesso alle cariche elettive nei Comuni con meno di 5.000 abitanti. A questo riguardo la Sezione III del Consiglio di Stato, in sede di appello della sentenza del Tar Campania, aveva sospeso il giudizio per sollevare la questione di illegittimità costituzionale in ordine al combinato disposto degli articoli 71, comma 3-bis, del Tuel e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del Dpr 570/1960, nella parte in cui la normativa non prevede sanzioni per il mancato rispetto della parità di genere nella formazione delle liste elettorali negli enti di minori dimensioni.

La decisione della Consulta
Con la pronuncia n. 62/2022 la Consulta ha ravvisato fondata la questione posta e ha chiarito che «la sanzione dell'esclusione della lista in caso di violazione delle condizioni prescritte dalla legge per la sua ammissibilità è già presente nella normativa in esame». Come si legge nella sentenza, «la soluzione prospettata si inserisce nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore» in quanto la stessa non altera il sistema complessivo delle misure delineate dalla legge 215/2012, che conserva comunque il carattere di gradualità in ragione della dimensione dei Comuni, e, per quelli di esigue dimensioni, mantiene il solo obbligo della rappresentanza di entrambi i sessi nelle liste, limitandosi a garantirne l'effettività con l'introduzione di una sanzione per il caso di una sua violazione. In ragione di ciò, la Corte costituzionale ha concluso che anche per i Comuni minori vale principio inderogabile l'osservanza della parità di genere, con il conseguente obbligo di ricusazione delle liste che non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi.

Le conseguenze
Ora Palazzo Spada ha ripreso in mano il giudizio in precedenza sospeso per dare attuazione alla pronuncia della Consulta, passando dalle parole ai fatti. Con la sentenza n. 5083/2022 la Sezione III, prendendo atto che il giudice delle leggi ha sancito l'esclusione delle liste che nei Comuni minori non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi, ha accolto il ricorso di due candidati di lista, primi dei non eletti, contro il risultato elettorale, e in riforma della sentenza impugnata ha disposto:
• l'esclusione della lista concorrente composta da soli candidati di sesso maschile, e quindi non conforme alla cosiddetta quota rosa per mancato rispetto della parità di genere;
• l'estromissione dal Consiglio comunale dei due amministratori facenti parte della lista esclusa, e il subentro al loro posto dei due candidati ricorrenti.
Tenuto conto del fatto che i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti rappresentano il 17 per cento della popolazione italiana, la decisione in commento, assunta sulla scia della recente pronuncia della Consulta, apre uno scenario nuovo, destinato ad attivare una sostanziale misura di riequilibrio della rappresentanza di genere.
Secondo i dati del Viminale, nel 2021 erano stati 755 i Comuni chiamati alle urne, ma solo 384 di essi avevano messo in campo almeno un terzo di candidati di sesso femminile, in ottemperanza all'articolo 73, comma 1, del Tuel, come modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera d), legge 215/2012.
Ora la musica cambia, per cui già in occasione delle prossime elezioni amministrative i Comuni minori dovranno voltare pagina e adeguarsi alle regole ormai valevoli in pari misura per tutte le amministrazioni locali, a prescindere dal numero degli abitanti.

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