Amministratori

Aziende speciali, legittima la scelta fiduciaria e senza concorso del direttore generale

La Corte d'Appello di Venezia si spinge ad asserire che non sarebbe nemmeno necessaria un'azione comparativa

di Michele Nico

L'assenza di procedure selettive o concorsuali per la nomina del direttore generale di un'azienda speciale non giustifica il recesso unilaterale da parte dell'azienda stessa, perché l'attribuzione degli incarichi dirigenziali pubblici può essere frutto di una scelta essenzialmente fiduciaria, svincolata dai principi di reclutamento del personale sanciti dall'articolo 35 del Dlgs 165/2001. Questo il principio affermato dalla Corte d'Appello di Venezia, Sezione lavoro, con la sentenza n. 774/19 depositata il 16 settembre 2021.
Si tratta di una pronuncia innovativa e fuori dal coro, che assegna un ruolo spiccatamente fiduciario all'attribuzione di incarichi dirigenziali, tanto da far ritenere che, per la scelta del direttore generale dell'azienda pubblica, il mero affidamento della selezione della rosa di candidati a un ente terzo giustifichi per sé la nomina da parte del Cda, ancorché essa avvenga senza dare conto di specifica motivazione e in assenza di una reale comparazione valutativa.
Il collegio imprime così una forte spinta alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego per quanto riguarda la scelta dei funzionari apicali.

Il caso
La vicenda prende le mosse dall'appello proposto da un ex direttore generale di azienda speciale avverso la sentenza con cui il giudice del lavoro del Tribunale di Verona aveva rigettato la domanda del ricorrente volta ad accertare la validità ed efficacia del contratto di nomina senza procedura concorsuale, stipulato dall'azienda il 18 dicembre 2014, poi prorogato nel maggio 2017 e con scadenza prevista il 31 dicembre 2019. A seguito di un avvicendamento del Cda avvenuto a fine anno 2017 l'azienda speciale, rivalutata la questione dell'incarico affidato in via diretta, aveva disposto il recesso anticipato dal contratto in data 13 gennaio 2018, con la conseguente insorgenza del contenzioso giudiziale.
Secondo il nuovo Cda aziendale il contratto stipulato nel 2014 doveva ritenersi nullo, in quanto avvenuto in assenza di regolare concorso o, quanto meno, di idonea procedura comparativa. Nella decisione di primo grado il Tribunale aveva in effetti accertato che la nomina del funzionario era stata effettuata non solo in assenza di concorso, ma anche senza procedura comparativa, e perciò in violazione della norma inderogabile dettata dall'articolo 35 del Dlgs 165/2001, nonché del previgente articolo 18, comma 1, del Dl 112/2008 convertito dalla legge 133/2008. Capovolgendo la sentenza del Tribunale, i giudici dell'appello hanno sancito l'illegittimità del recesso, condannando l'azienda convenuta a risarcire il danno patito dal ricorrente, pari a tutte le retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito, se il contratto fosse stato valido, dal momento della cessazione del rapporto – ossia dal 13 gennaio 2018 – fino al 31 dicembre 2019, data di scadenza naturale dell'incarico.

Le argomentazioni della Corte
I giudici veneziani, dopo aver ricostruito la natura giuridica dell'azienda speciale e il quadro normativo che ne regola il funzionamento, hanno rievocato il combinato disposto delle norme sul reclutamento del personale pubblico, riconoscendo che la matrice di tali disposizioni risale all'articolo 97 della Costituzione, secondo cui «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione», per cui «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
Dopo di che il collegio ha innestato su tale costrutto un'importante eccezione, richiamando un orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui va riconosciuta la «natura non concorsuale della procedura degli incarichi dirigenziali», dacché in questo specifico ambito «la scelta è orientata a ricercare non il migliore in assoluto, ma il possesso delle attitudini necessarie per gestire, organizzare e dirigere il lavoro che afferisce all'incarico da ricoprire» (Cassazione a Sezioni unite, n. 15764/2011; Consiglio di Stato, n. 8850/2009).
Nella prospettiva ora descritta, la Pa è vincolata al rispetto dei criteri indicati dal bando per la selezione del dirigente, oltre che al rispetto del divieto di discriminazione, nonché del canone di correttezza e buona fede, ma non è tenuta a motivare la nomina effettuata, che costituisce una scelta di carattere essenzialmente fiduciario. Nel solco di questo orientamento, la Corte d'Appello di Venezia si spinge ad asserire che «non sarebbe nemmeno necessaria un'azione comparativa fra i diversi aspiranti, fermo restando che la scelta operata dai vertici dell'ente deve essere senz'altro ispirata al criterio del buon andamento della Pa, trattandosi di un incarico dirigenziale che costituisce una scelta di carattere fiduciario». Secondo i giudici dell'appello vi sarebbe dunque una linea di discrimine ben marcata che differenzia in modo sostanziale l'assunzione dei dipendenti pubblici rispetto all'attribuzione di incarichi dirigenziali nella Pa.
Di qui la conclusione del collegio, secondo cui la validità dell'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale deve essere valutata, in buona sostanza, soltanto sulla base delle norme e dei principi di diritto privato.

La tesi dominante
La sentenza in commento prende nettamente le distanze da un'ampia giurisprudenza di segno opposto che ha sancito l'illegittimità dell'assunzione dei dirigenti pubblici per chiamata diretta, dichiarata nulla per violazione di norme imperative – segnatamente, dell'articolo 35 del Dlgs 165/2001 – in difetto di procedura selettiva o concorsuale (ex multis: Cassazione, sentenza n. 6818/2018). A questo riguardo vale la pena ricordare che, per le società pubbliche, la Corte di cassazione ha rilevato che «tale nullità è ora espressamente prevista dall'articolo 19, comma 4, del dlgs 175/2016, di cui va tuttavia esclusa la portata innovativa, avendo la citata disposizione reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi in tema di nullità virtuali» (Sezione lavoro, sentenza 14 febbraio 2018 n. 3621).
Anche prima, comunque, il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 5643/2015 aveva affermato che se una società in house incorre nella violazione delle regole prescritte dal Dl 112/2008, «il rapporto (…) è sanzionato con la nullità, intesa come invalidità improduttiva di effetti giuridici, imprescrittibile, insanabile e rilevabile di ufficio e non già alla stregua di un mero vizio di violazione di legge, secondo i principi generali regolanti il regime di annullabilità degli atti amministrativi illegittimi».
A fronte di un contrasto giurisprudenziale così evidente, non resta che prendere atto del momento di incertezza che grava sul reclutamento del personale pubblico, per quanto riguarda le modalità di accesso ai ranghi della Pa.

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