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Pd e M5S chiedono il salva-Napoli - Parte la candidatura di Manfredi

Letta da Draghi. Il leader Pd ha rassicurato il premier: nessuna freddezza, ma faremo ancora le nostre proposte

di Emilia Patta e Gianni Trovati

«Non c’è stata mai freddezza con Mario Draghi. Oggi è stato un incontro molto positivo in cui si è parlato delle grandi riforme, dalla giustizia al fisco fino alle semplificazoni e al mercato del lavoro, che sono alla base del patto con la Ue». Enrico Letta, dopo giorni di posizioni da “controcanto” (dal nodo dei licenziamenti alla proposta sull’inasprimento della tassa di successione subito stoppata dal premier), varca infine la soglia di Palazzo Chigi per un chiarimento con il premier e per rassicurarlo sul fatto che il sostegno pieno e convinto del Pd al suo governo non è in discussione («il Pd è parte fondamentale del governo, lo abbiamo fortemente voluto e ne portiamo avanti il programma»). Piuttosto quello che il segretario del Pd ha voluto chiarire con il premier è una questioen di metodo: i democratici continueranno a fare le loro proposte, a cominciare proprio dalla discussa tassa di successione per aiutare i giovani senza risorse che sarà ripresentata quando si tratterà di mettere mano alla riforma generale del fisco, e poi sarà compito del premier trovare il miglior punto di sintesi possibile nella sua larga maggioranza.

Insomma, il Pd continuerà a fare il Pd e a “coprire” con le sue iniziative (come quella dello ius soli, rilanciata ancora ieri) la parte sinistra dell’elettorato: obiettivo le comunali di ottobre, che vista la storica bassa affluenza rispetto alle politiche si vinceranno anche rimotivando il proprio elettorato, ma soprattutto le prossime politiche da affrontare in coalizione con il M5s e con la sinistra di Leu. E proprio ieri, mentre ancora il nodo dei rapporti giuridici ed economici del movimento con Davide Casaleggio e la sua associazione Rousseau non è stato sciolto impedendo l’incoronazione a leader di Giuseppe Conte, la futura coalizione giallorossa ha battuto un colpo importante portando a casa a Napoli - dopo i fallimenti di Torino e Roma - la candidatura comune dell’ex ministro del Conte 2 Gaetano Manfredi. Una soluzione a cui negli ultimi giorni ha lavorato intensamente proprio Conte, in accordo con Letta, e che si basa su una sorta di “patto per Napoli” che in sostanza prevede la «gestione commissariale del debito» con accollo allo Stato.

A cementare la prima vera alleanza locale tra Pd e M5s e a convincere al ripensaamento Manfredi, che inizialmente aveva rifiutato proprio sulla base del dissesto del Comune, c’è dunque la promessa di un “salva-Napoli” che, vista la crisi diffusa negli enti locali (Sole 24 Ore di ieri), punta ad assumere la forma di un “salva-debiti” locali. Per ora la certezza che appare condivisa almeno nell’ala sinistra della maggioranza è che Napoli non deve fallire. L’altra certezza misura però le dimensioni dell’ostacolo: i numeri più aggiornati parlano di un extradeficit da gestire di 2,3 miliardi, diviso fra quello prodotto dalla cancellazione delle vecchie entrate con la riforma della contabilità nel 2015 (circa 950 milioni), quello da recuperare nel piano di riequilibrio (poco meno di 400 milioni) e quello prodotto dall’illegittimità costituzionale del ripiano lungo del deficit da prestiti sblocca-debito. L’ambizione messa nero su bianco nel Patto per Napoli è una riedizione partenopea del salva-Roma, con una gestione commissariale sotto forma di bad company che ripulisce i conti dal vecchio debito e ne mette i costi a carico della fiscalità generale. Resta da capire se una soluzione del genere si farà strada anche fuori dall’area Pd-M5S. In alternativa al Mef si ragiona sull’allungamento dei tempi di ripiano: per il vecchio disavanzo da riforma contabile il calendario punta già al 2044, il piano di riequilibrio arriva fino al 2032, con il risultato di determinare una rata annuale intorno 77 milioni per la somma dei due ripiani. Il problema principale è quello dei prestiti sblocca-pagamenti. La cui soluzione è tutta da costruire.

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