Amministratori

Comuni, arrivano la salva sindaci e il codice delle crisi

Pronto il testo che affida ai dirigenti la responsabilità esclusiva sulla gestione

di Gianni Trovati

«I dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati». Mentre «il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili politicamente dell’amministrazione».
In questi due passaggi della riforma degli enti locali si prova a costruire l’argine chiesto dai sindaci contro il dilagare delle responsabilità a tutto campo. Il testo, dopo una gestazione allungata dalle tante emergenze che occupano l’agenda di governo, è pronto per uno dei prossimi consigli dei ministri. Raccolte le osservazioni dei rappresentanti di amministratori e professionisti, il testo è atteso a Palazzo Chigi fra questa settimana e la prossima.

Più controlli

Il disegno di legge è in due capitoli. Il primo è una delega, da esercitare in nove mesi, che chiede al governo di scrivere una sorta di codice della crisi locale, per individuare parametri in grado di prevenire dissesti e squilibri strutturali; anche perché casi come quello di Napoli, dove oggi si firmerà il Patto fra il Governo e il Comune per il risanamento dei conti, mostrano che intervenire a disastro avvenuto è costoso. È previsto poi il rafforzamento degli organi di controllo, con l’aumento degli enti in cui il revisore unico cede il posto al collegio di tre (l’ipotesi è di salire da 5mila a 15mila abitanti, e il limite dei due mandati scatterà solo quando sono consecutivi per evitare il bando a vita del revisore dall’ente) e con un ampliamento dei segretari comunali, che si vedrebbero rinvigorita la loro funzione anti-corruzione. Le nuove regole, poi, estenderebbero ad Asl e aziende ospedaliere il meccanismo di scioglimento degli organi di governo in caso di infiltrazioni mafiose.

Sindaci e dirigenti

La seconda parte del Ddl interviene invece con norme ordinarie a separare appunto le responsabilità politiche dei sindaci da quelle gestionali dei dirigenti, allarga agli enti fino a 15mila abitanti la possibilità di un terzo mandato, cancella l’indennità di fine mandato per chi rimane in carica meno di 30 mesi e chiude le porte del Parlamento a chi guida un ente fino a 15mila abitanti (oggi la soglia è 20mila). Quest’ultima previsione va in senso opposto alle richieste dei politici locali, che premono per un passaggio dall’incandidabilità all’ineleggibilità rinviando quindi a dopo il voto l’abbandono della carica locale. Anzi, arriva un’altra incompatibilità che impedisce agli assessori di fare il sindaco o l’assessore anche in un altro Comune.

Province registe degli appalti

Sempre tra le norme ordinarie c’è poi una riforma di Province e Città metropolitane, che diventerebbero ufficialmente le stazioni uniche appaltanti per i Comuni fino a 5mila abitanti del loro territorio per gli acquisti di forniture sopra i 40mila euro e di lavori sopra i 150mila. Con una mossa, attesa da tempo e chiesta da molti anni dalle Province, che comincerebbe ad attuare davvero quel riordino tentato senza successo dal Codice degli appalti per le stazioni appaltanti, nel frattempo fiorite ancora dalle 36mila del 2016 alle 40mila registrate nei censimenti più aggiornati.

Tornano le giunte

La riforma degli enti di area vasta proverà poi a mettere ordine nel groviglio di norme e scadenze intrecciato dalla riforma del 2014, quella che avrebbe dovuto portare all’abolizione delle Province, e dai successivi, numerosi rattoppi. In questo riordino entra anche il ritorno a pieno titolo degli assessori (tre, che salgono a quattro negli enti con più di un milione di abitanti), che avranno un’indennità pari al 50% di quella riconosciuta agli assessori del Comune capoluogo, appena alzata dall’ultima legge di bilancio. Si stabilisce poi che il sindaco metropolitano sia eletto dai sindaci e consiglieri comunali del territorio, fissando così quella regola univoca chiesta dalla Corte costituzionale nella sentenza 240 dell’anno scorso.

I piccoli Comuni

Diviso fra delega e regole ordinarie è poi il ripensamento delle regole per i piccoli Comuni, che sotto i 5mila abitanti si vedono abolito il controllo di gestione. Un intervento immediato riguarda le gestioni associate, dopo che il tentativo di renderle obbligatorie iniziato nel 2010 è affondato nella pioggia di deroghe prima e nella bocciatura costituzionale poi. Il nuovo testo ribalta la prospettiva, e prevede l’individuazione entro tre mesi (con Dpcm), di criteri per individuare l’«organizzazione ottimale» per l’esercizio delle funzioni fondamentali in forma autonoma. In pratica, i piccoli enti in grado di dimostrare anche su questa base che stare da soli conviene in termini economici e di adeguatezza dei servizi potranno evitare le alleanze. Con la delega, invece, saranno rivisti i premi per le fusioni per offrire aiuti più ricchi a chi raggiunge la «massima integrazione».

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