Appalti

Appalti in emergenza, sempre possibile scegliere la gara invece dell'affidamento diretto

Tar Sicilia: non è obbligatorio ricorrere alla deroga del Dl Semplificazioni (Dl 76/2020)

di Roberto Mangani

La norma derogatoria del Decreto semplificazioni che prevede l'affidamento diretto entro i limiti di importo di 75.000 euro per gli appalti di forniture e servizi e di 150.000 euro per i lavori non precostituisce alcun obbligo in capo agli enti committenti di procedere esclusivamente con questa modalità. Di conseguenza la stazione appaltante può ricorrere anche alle procedure ordinarie – e in particolare alla procedura aperta – sulla base di una propria scelta discrezionale che non necessita di particolare motivazione.
Si è espresso in questo senso il Tar Sicilia, Sez. III, 14 maggio 2021, n. 1536, che contiene anche altre interessanti affermazioni in tema di mancato rispetto dei termini per la conclusione della procedura di gara e di regime di incompatibilità dei componenti la commissione giudicatrice.

Il fatto
Un comune aveva indetto una procedura di gara aperta ai sensi dell'articolo 60 del D.lgs. 50/2016 per l'affidamento del servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza e viabilità della sede stradale. Tale affidamento non comportava esborsi per il comune, in quanto la remunerazione del servizio era assicurata dagli oneri dovuti dalle compagnie assicuratrici dei veicoli coinvolti, per un volume di affari complessivo stimato in 45.000 euro.
Intervenuta l'aggiudicazione uno dei concorrenti alla gara impugnava la stessa e gli atti presupposti, a partire dalla determina e dal bando, sollevando una serie articolata di censure sotto molteplici profili.

La censura più rilevante riguardava la ritenuta illegittimità della scelta dell'ente appaltante di ricorrere alla procedura aperta in luogo dell'affidamento diretto previsto, in base alla norma derogatoria contenuta nel Decreto legge 76/2020 (convertito nella legge 120/2020), per gli affidamenti di servizi di importo fino a 75.000 euro. Sotto questo profilo il ricorrente lamentava peraltro la mancanza di una specifica e adeguata motivazione.
Altre censure di minore impatto riguardavano il mancato rispetto dei termini per la conclusione della procedura di gara e la situazione di incompatibilità di un componente della commissione giudicatrice.

L'affidamento diretto e la procedura ordinaria
La questione centrale sollevata dal ricorrente e affrontata dal giudice amministrativo riguarda il valore cogente o meno della disposizione contenuta all'articolo 1, comma 2, lettera a) del Decreto legge 76/2020 che prevede l'affidamento diretto per gli appalti di servizi (e di forniture) di importo fino a 75.000 euro (nonché per gli appalti di lavori fino a 150.000 euro).
Si tratta cioè di stabilire se tale previsione obblighi gli enti appaltanti a ricorrere a questa modalità di affidamento estremamente semplificata ovvero consenta comunque agli stessi di utilizzare le procedure ordinarie.
Nell'affrontare la questione il giudice amministrativo opera preliminarmente una considerazione che nasce dalla peculiarietà della fattispecie. Tale considerazione deriva dalla finalità indicata dall'articolo 1, comma 1 del Decreto legge 76/2020, secondo cui le norme derogatorie da esso dettate sono finalizzate a incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché a far fronte alle ricadute economiche dell'emergenza Covid.
Secondo il giudice amministrativo l'enunciazione nei termini indicati della finalità della norma sarebbe sufficiente a far escludere che la stessa possa trovare applicazione nel caso di specie. Il servizio oggetto di affidamento non rientrerebbe infatti né nella nozione di investimenti pubblici né in quella dei servizi pubblici né, infine, subirebbe alcun impatto dall'emergenza Covid.

Si tratta in realtà di un argomento che convince poco. La norma derogatoria ha infatti un'applicazione generalizzata, che non sembra possa essere limitata in relazione a un'affermazione contenuta in apertura della stessa che vuole esplicitarne la ratio ispiratrice, ma non certo circoscriverne l'ambito applicativo. Ma il nucleo centrale della decisione si trova nel passaggio successivo. Infatti, in termini più generali, il giudice amministrativo afferma che la norma derogatoria non avrebbe inteso precludere agli enti appaltanti la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie in luogo dell'affidamento diretto.

Viene richiamata in questo senso la posizione dell'Anac – resa in sede di parere rilasciato nella discussione parlamentare del Decreto semplificazioni – secondo cui gli enti appaltanti sarebbero sempre liberi di scegliere modalità di affidamento maggiormente aperte alla concorrenza, se ritenute più aderenti ai propri bisogni.

Né può considerarsi di ostacolo a questa opzione interpretativa il parere n. 735/2020 rilasciato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che si limita esclusivamente a suggerire che la scelta della procedura ordinaria in luogo dell'affidamento diretto sia sorretta da adeguata motivazione. Ciò anche alla luce dell'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Parere 30 agosto 2016, n. 1903), secondo cui il principio della motivazione assume rilievo nella fase dell'affidamento con riferimento a tutti i relativi passaggi procedurali, ma non nella precedente fase di scelta della procedura di gara.

La posizione assunta dal giudice amministrativo può sembrare in prima battuta difficilmente contestabile. La scelta di ricorrere alle procedure ordinarie in luogo dell'affidamento diretto – consentito dalla norma derogatoria – comporta infatti un ampliamento dei principi di pubblicità, trasparenza e concorrenzialità. A una prima lettura, non sembra che questa scelta possa trovare preclusioni. Vi sono però alcuni elementi che meritano di essere considerati e che, se interpretati in maniera sistematica, possono anche portare a conclusioni opposte.

In primo luogo vi sono i dati letterali. L'articolo 1, comma 1 del Decreto legge 76/2020 stabilisce che, in relazione agli affidamenti che si collocano in un determinato arco temporale, «si applicano» le procedure di affidamento previste dai commi successivi. L'utilizzo dell'espressione «si applicano» in luogo di «si possono applicare» sembra presupporre un'indicazione prescrittiva, non una semplice possibilità.

A ciò si aggiunga che l'articolo 36, comma 2 del D.lgs. 50/2016, nel prevedere in termini strutturali il ricorso agli affidamenti diretti, fa esplicitamente salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie. Il fatto che nell'ambito della disciplina speciale e derogatoria propria del Decreto semplificazioni il legislatore non abbia ribadito tale possibilità potrebbe essere considerato indice di una volontà contraria.

E tale volontà – e ciò rappresenta probabilmente l'elemento più significativo – sarebbe da ricollegare proprio alla ratio delle norme derogatorie, ben rappresentata dalla finalità sopra ricordata. Tale finalità è quella di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, anche al fine di far fronte alle ricadute negative dell'emergenza Covid.

Non appare quindi ingiustificato ipotizzare che questa finalità di incentivazione si esplichi anche nell'accelerazione e semplificazione delle modalità di affidamento degli appalti. In questo senso, l'obbligo da parte degli enti appaltanti di ricorrere a tali modalità e la preclusione di utilizzo delle procedure ordinarie - indubbiamente meno rapide e semplici – potrebbe iscriversi in maniere coerente in un quadro complessivo in cui il legislatore – per un periodo di tempo limitato e tenuto conto dell'eccezionalità della situazione emergenziale - avrebbe inteso privilegiare l'accelerazione procedurale in luogo dei principi di concorrenzialità e di massima apertura al mercato.

Il termine di conclusione delle procedure di gara
Con la seconda censura il ricorrente ha contestato che l'ente appaltante non ha rispettato i termini che lo stesso Decreto semplificazioni ha fissato per la conclusione delle procedure di gara (due o quattro mesi per gli affidamenti sottosoglia, sei mesi per gli affidamenti soprasoglia). Correttamente il giudice amministrativo rileva che il mancato rispetto di tali termini ha i soli effetti previsti espressamente dalla norma, e cioè costituisce elemento ai fini della possibile valutazione della responsabilità erariale dell'ente committente. Al contrario, nessuna conseguenza è configurabile in termini di illegittimità della procedura di gara.

Il regime di incompatibilità dei commissari di gara
Un'ulteriore censura è stata mossa in relazione al regime di incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice, delineato dall'articolo 77, comma 4 del D.lgs. 50/2016, secondo cui gli stessi non devono aver svolto alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo rispetto al contratto oggetto di affidamento.

Al riguardo il giudice amministrativo – richiamandosi a un orientamento giurisprudenziale prevalente – ha osservato che la situazione di incompatibilità va valutata in relazione alla concreta partecipazione del soggetto alla redazione degli atti, senza che possa di per sé rilevare la circostanza che esso sia il funzionario responsabile dell'ufficio competente.
Per determinare l'incompatibilità vi deve quindi essere stata una effettiva e concreta capacità di definire il contenuto degli atti, che deve essere riferibile in via autonoma al soggetto interessato. Si tratta di un'interpretazione restrittiva della norma, tenuto conto che comunque la stessa rappresenta una limitazione all'esplicazione delle funzioni proprie dei dipendenti pubblici. E, anche per questo, delle situazioni di incompatibilità occorre dare prova da parte del soggetto che intende farle valere in giudizio, non potendosi desumere dalla mera appartenenza del funzionario pubblico alla struttura organizzativa che ha predisposto gli atti di gara.

Si tratta di osservazioni del tutto condivisibili, idonee a restringere l'ambito applicativo del regime di incompatibilità dei commissari di gara, la cui ratio complessiva, in termini assoluti, è per molti aspetti suscettibile di critiche.

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