Fisco e contabilità

Il riordino del Catasto non deve penalizzare chi già paga le tasse

Sui redditi fondiari il riordino deve perseguire l'equità

di Enrico De Mita

In materia catastale, a maggior ragione oggi, è sempre avvertita l'esigenza costituzionale di rispettare il principio di uguaglianza e ragionevolezza, insieme con il principio di capacità contributiva, per rendere tollerabile il peso fiscale, pervenire alla diminuzione delle aliquote vigenti e prevenire aumenti irrazionali del carico impositivo attuale. La Corte costituzionale (16/1965) ha sempre ritenuto legittimo un tale sistema di reddito medio ordinario, affermando che la capacità contributiva non è il reddito ma «la cosa produttiva».

Mentre si discute di modernizzare gli strumenti di mappatura degli immobili e approdare alla revisione del catasto fabbricati, la Ctr Toscana, con ordinanza dell'8 gennaio 2019 (Gazzetta ufficiale del 6 ottobre 2021), ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 26, comma l, seconda parte, del Dpr 917/86, in relazione agli articoli 3, comma 2, e 53 della Costituzione, nella parte in cui, nel prevedere che il reddito dei canoni non percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprietà non concorre alla formazione del reddito, subordina tale previsione alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Il caso all'esame della Ctr riguarda una comproprietaria dell'immobile locato che, secondo la tesi fiscale, avrebbe dovuto dichiarare i canoni di locazione anche se non riscossi dalla locataria fallita e corrisponderne la relativa imposta.

La norma violerebbe il principio di ragionevolezza e di capacità contributiva. Essa infatti statuirebbe, secondo la Ctr Toscana, che il canone di locazione di immobili ad uso abitativo non effettivamente percepito può non concorrere a formare il reddito nel caso in cui la mancata riscossione derivi da morosità del conduttore accertata in sede giurisdizionale. La Ctr ritiene che «accertamento in sede giurisdizionale» coincida esclusivamente con la sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Così ritenendo sarebbero escluse tutte le ulteriori ipotesi in cui effettivamente sia mancato l'incasso del canone locatizio, quindi la relativa manifestazione di capacità contributiva.

La questione è inammissibile per erronea individuazione del referente normativo: la norma dell'articolo 26, comma 1, del Tuir, prevede che i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili a uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall'intimazione di sfratto per morosità o dall'ingiunzione di pagamento.

La norma scrutinata, perciò, non è richiamata in modo coerente dal giudice a quo. La questione è perciò anche manifestamente infondata. È evidente che, in caso di conduttore fallito, non è possibile promuovere un'azione esecutiva individuale e tutte le ragioni di credito si traducono nell'insinuazione al passivo fallimentare, nel concorso alla massa fallimentare.

La norma dell'articolo 26 del Tuir, interpretata in senso sistematico, oltre che costituzionalmente orientato, porta ad esiti opposti, includendo fattispecie equipollenti nelle quali possa dirsi, in sede giudiziaria, acquisita la certezza del mancato pagamento del canone da parte di un conduttore. L'ordinanza, in ogni caso, offre un'occasione, anche per il legislatore, di riflessione sulla necessità di procedere celermente e con la massima chiarezza all'attuazione dei principi costituzionali nella tassazione degli immobili. Il che riporta anche alla riforma del catasto in discussione.

Come ho già osservato, far emergere e accatastare i fondi non ancora individuati a registro è azione ineludibile in un'ottica anche perequativa. Essa può costituire la premessa di una riduzione delle imposte per chi le paga. Certamente, per chi non le ha mai pagate costituirà un aggravio. Il rischio da evitare è che le nuove informazioni siano un aggravio solo per chi ha sempre pagato le imposte.

In tal caso rideterminazione degli imponibili e rimodulazione delle aliquote avrebbero l'unico significato di tradire il patto di fiducia tra Stato e cittadini virtuosi.

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