Urbanistica

Periferie, 551 progetti pronti ma senza fondi: il 93% è al Nord

Chiusa la graduatoria per distribuire 3,4 miliardi, ma ne servirebbe un altro

di Gianni Trovati

Per una volta il problema non è rappresentato dai progetti che mancano. Perché le ristrutturazioni edilizie e gli interventi infrastrutturali per riqualificare aree periferiche a Bergamo, Sondrio, Treviso, Padova, Vicenza o Parma sono stati progettati. Ma mancano i fondi: notizia paradossale ai tempi del Pnrr che alla riqualificazione urbana dedica «grande attenzione» perché la considera «strumento di supporto all'inclusione e al recupero del degrado sociale e ambientale» come si legge a pagina 210 del Piano. L'allarme circola fra i sindaci da settimane, e alimenta un malcontento tradotto in telefonate sempre più frequenti a Roma per cercare risposte che a oggi non ci sono. A secco sono rimasti 551 progetti, che nel 93% dei casi (510) riguardano il Nord Italia: dove per molte città, soprattutto medie e piccole, la rigenerazione urbana rischia di essere la porta d'accesso quasi esclusiva al Recovery Plan.

L'origine del problema non è complicata da ricostruire. Prima della ripresa degli ultimi due anni la macchina degli investimenti comunali è rimasta imballata per oltre un decennio, rimandando al futuro idee di interventi che si sono quindi accumulate nel tempo. Poi, proprio alla vigilia del Covid e del Next Generation chiamato a ricucire le ferite pandemiche, quel futuro è arrivato, con il bando per la rigenerazione urbana avviato dalla manovra 2020. E ha scatenato la corsa dei Comuni per partecipare ai finanziamenti statali: in gioco ora ci sono 3,4 miliardi di euro, da assegnare in base a una graduatoria che ministero dell'Economia e Viminale hanno completato da settimane. Ma che ancora non è diventata ufficiale anche perché esclude i 551 progetti che sono completi, sono in linea con i filoni di intervento del Pnrr sulla «transizione ecologica» e l'«inclusione sociale» ma non sono riusciti a salire sul carro: un carro che punta decisamente a Sud, per i parametri sulle difficoltà socio-economiche territoriali utilizzati per definire i criteri di ripartizione dei fondi.

Ieri i Comuni hanno bussato alle porte del Parlamento, con l'audizione dell'Anci sul decreto Pnrr che ha avviato il percorso di conversione nella commissione Bilancio della Camera. Per completare i finanziamenti, calcolano i sindaci, servirebbe poco meno di un miliardo di euro: cifra non impossibile in questa fase, anche perché sarebbe spalmata su più anni.Anche la legge di bilancio che nei prossimi giorni avvia la propria navigazione al Senato ha cominciato a dedicarsi al tema, con 300 milioni riservati però ai piani di rigenerazione urbana gestiti in forma associata dai Comuni con meno di 15mila abitanti. Ma per completare l'opera serve un passo in più. Non servono soldi, invece, per affrontare l'altro inciampo messo in luce dai sindaci nella loro analisi del decreto Pnrr. L'attenzione del governo sulle carenze di personale è alta, riconoscono gli amministratori locali, e idee come l'aumento dei mille esperti, che proprio nel decreto Pnrr si trasformano da contingente massimo a dotazione minima, è buona. Ma poi ci sono le procedure, bizantine, che rischiano di vanificare la spinta. Perché con le regole attuali le assunzioni di tecnici per il Pnrr devono essere precedute dall'inserimento del costo nel quadro economico dell'intervento, e autorizzate dall'amministrazione centrale competente che a sua volta deve aspettare il via libera della Ragioneria generale. E intanto il tempo del Pnrr passa.

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