Personale

Solo un'autorità o il medico può imporre il green pass

Tutela della salute prevista dal Codice civile applicata tramite i protocolli

di Giampiero Falasca

Nel periodo in cui non era ancora obbligatorio per legge, il mancato possesso del green pass poteva giustificare la sospensione del dipendente dal lavoro e dalla retribuzione solo in presenza di un provvedimento amministrativo che avesse disposto l’obbligo di tampone sul lavoro o, in alternativa, a fronte di una specifica prescrizione del medico aziendale: in assenza di tali atti, il lavoratore non poteva essere lasciato a casa senza stipendio dal datore di lavoro. Con questa decisione del 3 marzo il Tribunale di Firenze ha preso posizione su un tema che ha dato vita a un intenso dibattito teorico e giurisprudenziale, almeno fino a quando, dal 15 ottobre del 2021, è diventato obbligatorio per legge possedere ed esibire il green pass anche sui luoghi di lavoro.

La vicenda nasce ad agosto dell’anno scorso, quando un’istruttrice di nuoto è stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione perchè era sprovvista di green pass, documento richiesto dal datore a tutti i dipendenti e collaboratori come condizione per accedere sul luogo di lavoro. Il datore aveva richiesto il green pass ai dipendenti in quanto, all’epoca dei fatti, il possesso di tale certificato era necessario per i frequentatori di piscine e strutture affini (articolo 9 bis del Dl 52/2021), mentre non era obbligatorio per i lavoratori subordinati che svolgevano l’attività in questi luoghi.

Il Tribunale si è interrogato quindi sulla possibilità di imporre, in assenza di un obbligo di legge, il possesso del certificato a carico dei lavoratori subordinati, quale misura necessaria al fine di preservare la salubrità del luogo di lavoro. Tale questione viene affrontata partendo dalla considerazione che la vaccinazione non può essere imposta, in assenza di obbligo di legge, e quindi la richiesta di green pass si risolveva, all’epoca dei fatti, nell’effettuazione di un tampone (salvo il caso della guarigione dal Covid).

Posta in questi termini la questione merita, secondo la sentenza, una risposta negativa, in quanto l’articolo 2087 del Codice civile, la norma che impone il dovere generale di sicurezza in capo al datore, nel periodo dell’emergenza Covid doveva essere attuato seguendo un percorso specifico: dando applicazioni ai protocolli concordati tra il Governo e le parti sociali (articolo 29 bis del Dl 23/2020).

Proprio il primo di tali protocolli, quello siglato il 24 aprile 2020, prosegue la sentenza, non fa menzione del green pass come misure da adottare per garantire la salute del luogo di lavoro e dedica un generico riferimento al tema dei tamponi, rispetto ai quali prevede che possano essere richiesti dai datori di lavoro solo se sussistono alcune specifiche condizioni: qualora l’autorità sanitaria competente ne disponga l’esecuzione per prevenire focolai epidemici, oppure in presenza di una motivata ed esplicita richiesta del medico competente.

In mancanza di un provvedimento dell’autorità o di una richiesta espressa del medico aziendale, il datore di lavoro non poteva condizionare l’accesso all’esibizione del green pass o del tampone, con la conseguenza che il relativo rifiuto della prestazione risulta illegittimo.

Sulla base di tale ragionamento, il Tribunale ha condannato il datore a pagare tutte le retribuzioni che la dipendente avrebbe percepito dal periodo di sospensione fino al 15 ottobre 2021, data in cui il green pass è diventato obbligatorio. Da tale data, viene esclusa ogni conseguenza di natura risarcitoria.

La sentenza arricchisce un dibattito giurisprudenziale ancora incerto e controverso, ma non va strumentalizzata oltre il suo significato, che è quello di ricordare come l’applicazione di misure di prevenzione della salute deve essere sempre prevista da provvedimenti e atti con valenza normativa, da un lato, o sulla base delle prescrizioni del medico competente, dall’altro lato: concetti assolutamente condivisibili che dovrebbero essere applicati con rigore sui luoghi di lavoro, senza fughe interpretative.

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