Urbanistica

Esproprio per pubblica utilità, l'ente locale deve rispondere all'istanza di chiusura del procedimento

La richiesta ex articolo 42<i>-bis</i> del Dpr 327/2001 richiede una risposta (positiva o negativa, motivata) e non può essere liquidata come «inammissibile»

di Massimo Frontera

La pubblica amministrazione non può non rispondere alla richiesta di chiudere il procedimento relativo all'occupazione per pubblica utilità dell'immobile del proprietario interessato. È questo il principio che emerge a conclusione di una complessa vicenda che ha visto pronunce del Tar Lazio (Latina) e del Consiglio di Stato, relativamente all'occupazione di porzioni di terreni di alcuni proprietari residenti nel comune laziale di Aprilia. La vertenza ha portato a confermare il principio secondo cui - relativamente all'occupazione per pubblica utilità ex articolo 42-bis del Dpr n.327/2001 - «anche se tale norma non contempla un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il proprietario possa sollecitare l'Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che la stessa abbia l'obbligo di provvedere al riguardo, essendo l'eventuale inerzia dell'Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo».

La questione origina da alcuni proprietari di terreni dove il Comune ha realizzato strade e marciapiedi. Gli interessati hanno pertanto fatto istanza all'ente locale per sollecitare la chiusura del procedimento, ex articolo 42-bis, riconoscendo l'indennizzo per le porzioni di terreno occupate. Contro il "silenzio serbato" da parte dell'ente locale è stato promosso un primo ricorso al Tar Lazio, concluso con una sentenza con cui si ordinava al comune di provvedere. Nel corso del secondo grado di giudizio l'ente locale ha prodotto un atto che dichiarava l'istanza del privato "inammissibile". Conseguentemente, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del Tar, ritenendo il ricorso originario improcedibile.

È seguito un secondo ricorso al Tar Lazio da parte del privato, che ha impugnato la nota con cui l'ente dichiarava l'istanza "inammissibile". Questa volta il Tar ha respinto il ricorso. Il privato si è quindi appellato al Consiglio di Stato, il quale ha, ancora una volta, riformato la sentenza del primo giudice, accogliendo l'appello dei privati. Come appare più chiaramente dalla lettura della sentenza, i giudici del Consiglio di Stato hanno censurato l'atto prodotto dal Comune sia perché quest'ultimo sosteneva fosse configurabile una cessione gratuita ex articolo 31 commi 21 e 22 legge n.448/1998 (in luogo di quella ex articolo 42-bis del Dpr 327/2001) , sia perché dichiarava l'istanza dei privati "inammissibile".

Soprattutto, i giudici della Quarta sezione del Consiglio di Stato hanno confermato che, «in generale, un'istanza del privato volta a sollecitare l'amministrazione ad adottare un provvedimento ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. 327/2001, pur non espressamente prevista dalla legge, è configurabile in base al sistema, e soprattutto comporta l'obbligo dell'amministrazione di provvedere su di essa accogliendola o respingendola». È corretto, dunque, che il privato abbia avanzato una richiesta di «pronuncia di un provvedimento di merito, non di una "inammissibilità", oltretutto motivata con ragioni non pertinenti al contenuto dell'istanza stessa». Pertanto, «non è quindi oggettivamente vero quanto dice la sentenza di I grado, ovvero che sarebbe mancato un impulso dei privati per promuovere l'acquisizione sanante».

Dopo questa sentenza, i privati sono tornati a contestare il silenzio dell'ente locale, ricorrendo, ancora una volta al Tar, il quale, con la sentenza pubblicata il 17 settembre scorso, ha chiuso definitivamente il caso, imponendo all'ente locale di terminare il procedimento entro 30 giorni, e nominando fin da subito un commissario ad acta in caso di inadempimento.

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