Sanità, oltre 400 case e ospedali di comunità pronti a uscire dal Pnrr
Per evitare la tagliola europea le strutture da edificare ex novo saranno finanziate con i fondi ordinari non spesi dell’edilizia sanitaria
Sono circa 400 le strutture - tra nuove case e ospedali di comunità - che non saranno più finanziate con i fondi del Pnrr per evitare il rischio di non fare in tempo ad aprirle entro il 2026 come previsto dai target di Bruxelles e finire così nella tagliola europea con la perdita delle risorse. Per edificare circa il 20% delle nuove strutture previste dal Piano di ripresa e resilienza che dovranno dare finalmente corpo alla Sanità sul territorio, quella più vicina ai cittadini e mancata tragicamente durante la pandemia, si ricorrerà ai fondi ordinari dell’edilizia sanitaria. Si tratta di risorse stanziate quasi ogni anno - normalmente nelle manovre di bilancio - da destinare alla costruzione di nuovi ospedali e che tra mille burocrazie e cavilli vengono spese al ralenti: tanto che ci al momento ci sarebbero oltre 10 miliardi ancora non spesi dalle Regioni.
È questo il piano a cui sta lavorando il Governo - in prima fila i ministri Fitto (Affari europei) e Schillaci (Salute) - per provare a disinnescare tutte le possibile mine sul percorso della missione 6 («Salute») del Pnrr dove si stanziano oltre 15 miliardi per la Sanità di cui circa la metà per il territorio e in particolare 3 miliardi per costruire oltre 1350 Case di comunità - una sorta di maxi ambulatorio sul territorio per prime cure e diagnosi per arginare il sovraffolamento dei pronto soccorso - e circa 400 Ospedali di comunità, strutture dove ricoverare pazienti cronici che non hanno bisogno delle cure ad alta intensità di un ospedale normale. L’idea a cui stanno lavorando i tecnici è quella di far uscire dal perimetro del Pnrr soprattutto le nuove strutture che devono essere ancora costruite ex novo e che non sono invece frutto di ristrutturazioni di vecchi edifici di cui Regioni ed enti locali hanno ampie disponibilità: nel mirino tra le 1430 case di comunità previste dal Pnrr sono 309 quelle da costruire per intero mentre le restanti 1121 sono da ristrutturare mentre tra i 434 ospedali di comunità previsti gli edifici da edificare sono 93 e quelli da ristrutturare 341. Le strutture extra Pnrr attingeranno dunque ai fondi dei programmi “ex articolo 20” (dall’articolo della legge 67 del 1988 che per prima introdusse il maxi piano per l’edilizia sanitaria) che oggi vengono spesi dalle Regioni con mille difficoltà con un arretrato di 10,5 miliardi non ancora impiegato. Ovviamente per condurre in porto questo piano servirà il confronto e l’assenso delle Regioni prima di poter presentare la revisione dei progetti anche all’Europa che aspetta il nuovo Pnrr rimodulato entro il 30 giugno. Il rischio è anche quello di vedere slittare o finire in un vicolo cieco la costruzione di queste 400 strutture come accade da oltre trent’anni per i progetti dell’edilizia sanitaria: per questo la costruzione di queste nuove strutture dovrebbe restare sempre nella cornice dei contratti istituzionali di sviluppo (i Cis) siglati da ogni Regione con il Governo dove ci sono controlli e tabelle di marcia precise per evitare appunto che i cantieri restino solo sulla carta.
L’obiettivo come detto è salvare i progetti senza perdere i fondi del Pnrr a causa dei possibili ritardi già annunciati recentemente dalla Corte dei conti sui bandi: i “risparmi” ottenuti dai 400 progetti esclusi saranno utilizzati innanzitutto per coprire le spese extra dovute al rincaro dei materiali e delle bollette che ha fatto lievitare i prezzi nell’edilizia, ma anche per provare a recuperare qualche risorsa “fresca” per assumere i medici e gli infermieri che dovranno lavorare dentro queste nuove strutture. Un nodo questo fondamentale e ancora tutto da sciogliere.
In realtà i fondi del Pnrr non possono essere impiegati per finanziare il costo del personale, ma solo per gli investimenti nelle infrastrutture. Ma c’è un precedente dentro lo stesso Pnrr che può essere utilizzato come modello: si tratta dei cospicui fondi per l’assistenza domiciliare (2,7 miliardi) che saranno spesi per pagare il personale sanitario che andrà a casa degli italiani da qui al 2026. È stato lo stesso ministro Schillaci nei giorni scorsi a fare intendere questa possibilità: «Vorrei dare più soldi al personale ma la filosofia del Piano è quella di investire sulle strutture, le modifiche sono molto difficili. Vedremo, comunque, se riusciremo a ricavare anche una piccola quota per i professionisti della sanità».