Appalti

La piaga dell'«atemporalità» negli appalti: cure sempre uguali a se stesse a dispetto di contesti e conseguenze

INTERVENTO. Legge delega: è accettabile che l'individuazione dei principi rimanga valida dopo oltre sei anni perché nel frattempo non siamo riusciti ad attuarli?

di Edoardo Bianchi (*)

Qualche giorno or sono il prof. Cassese ragionando della magistratura ha individuato il vulnus principale che affliggeva il mondo della giustizia nel dato «atemporale, perché incapace cioè di misurare se stessa ed i propri effetti, non correlata cioè con la domanda sociale». Il tema della atemporalità non è una prerogativa del solo mondo della giustizia ma permea trasversalmente la gran parte del nostro quotidiano, in particolare il mondo della edilizia.

Andiamo con ordine ed evidenziamo solo alcuni esempi, i più macroscopici.Un attento osservatore, esterno al mondo Ance, ha sottolineato come la nuova legge delega che soprintenderà alla genesi della futura legge sui lavori pubblici è prossima ad essere licenziata dal Parlamento. I principi ivi contenuti sono 31 e ben 21 di questi erano già contemplati nella legge delega 11 che ispirò la nascita del Codice 50/2016. Purtroppo quei principi non trovarono attuazione pratica, tanto è vero che oggi vengono fedelmente riproposti. Basti evidenziare, ad esempio, come anche il Presidente dell'Anac sia tornato di recente sul pericolo, in termini di trasparenza e concorrenza, che la attuale disciplina degli affidamenti diretti (senza pubblicità, cioè) può determinare.

Rammentiamo che con le previsioni contenute nel Dl Sblocca cantieri - Semplificazione 1 – Semplificazione 2 il Codice 50 è stato completamente tumulato e con esso le previsioni della legge delega 11/2016. La considerazione che sorge spontanea riguarda la sostenibilità: è, cioè, accettabile che la individuazione di principi assolutamente generali (è una legge delega, di indirizzo cioè) rimanga valida dopo oltre sei anni perché nel frattempo non siamo riusciti a farla calare nella quotidiana attuazione? Una norma, anche la più giusta, se dopo sei anni non trova applicazione denota una problematica di fondo che ci deve portare ad indagare le cause.

Il tempo scorre ma la cura resta la stessa come se gli anni (sei) non fossero trascorsi. È di attualità il tema dell'aggiornamento della direttiva europea sulla prestazione energetica in edilizia finalizzata a ridurre i consumi di energia ed azzerare le emissioni di Co2. Fondamentalmente si tratta di condividere regole per dare impulso a nuove costruzioni ad emissioni zero e soprattutto per riqualificare il patrimonio edilizio esistente. È bene partire da una considerazione preliminare: in Italia abbiamo 12 milioni di edifici ed il 74% è stato realizzato ante 1981, in termini di attestazioni energetiche oltre il 75% rientra nelle classi E/F/G ed oltre un terzo di tutti gli immobili rientra nella ultima classe.

In Europa, invocata a giorni alterni secondo le convenienze, è stato apprezzato il piano italiano relativo al super ecosimabonus tanto da auspicare una estensione anche alla edilizia non residenziale (industriale) non tralasciando di supportare le famiglie a basso reddito. L'Europa osserva, anzi, che le misure sono temporanee e dovrebbero essere integrate da una strategia a medio/lungo periodo, andando oltre l'ambito del Pnrr. Ricordiamoci che questa partita ha un primo orizzonte temporale al 2030 allorquando per il piano "Fit for 55" dovremmo ridurre del 55% le emissioni (rispetto al 1990) per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

Anche sotto questo profilo vi è un problema in termini di (a)temporalità: veramente pensiamo di rispettare la data del 2030 senza una seria e concreta riattivazione del ecosismabonus? Veramente è pensabile che in 9 milioni di edifici residenziali vi sia la forza di intervenire sul proprio immobile per ottenere i necessari efficientamenti energetici facendo affidamento sulle sole risorse condominiali? Veramente è pensabile che senza un intervento deciso e risoluto delle banche vi siano imprese, professionisti e singoli condomini che possano gestire in house la moneta fiscale?

Il 2030 oggi sembra lontano ma ci accorgeremo ben presto che è dietro l'angolo.La seconda gamba dell'efficientamento riguarda la edilizia futura la cui riorganizzazione risulta intrinsecamente legata ad una riforma della materia urbanistica. Perché possa effettivamente parlarsi di rigenerazione, recupero, riqualificazione delle città consolidate occorre mettere mano per lo meno a cinque strumenti normativi: il Dpr 380/2001 – la legge urbanistica 1150/1942 – il Dm sugli standard 1444/1968 – il dl ambientale e la legge sul consumo del suolo; i primi quattro già esistenti ed il quinto da promulgare. Occorre, bene la decisione del Mims in tal senso, uno strumento che riconfiguri in un unico contesto, dai tempi strettissimi, la materia.

Con le norme attuali la riqualificazione delle caserme in via Reni a Roma, di cui si parla dagli anni 80, rimarrà lettera morta ancora nei prossimi anni. Un'imprenditrice Ance ha rappresentato l'arco temporale (circa 20 anni) che sono occorsi al proprio gruppo per riuscire a far decollare un piano di riqualificazione a Milano. Operazioni di recupero che durano decenni sono incompatibili con obiettivi di breve/medio termine per offrire città più resilienti ed inclusive.Vi è un disallineamento atemporale tra quello che il decisore pubblico si prefigge di raggiungere e le azioni conseguenti.Vi è un tema riguardante la (a)temporalità anche sulla materia della congruità dei prezzi di appalto. Lo ribadiamo, ad oggi di fatto, nessuna impresa ha ottenuto alcuna misura compensativa dei maggiori esborsi affrontati nel primo/secondo semestre 2021 rispetto alle rilevazioni del Mims. Trattasi di aumenti registratisi nell'ultimo trimestre 2020 rispetto ai quali le imprese hanno già da tempo anticipato rilevanti risorse.

I prezzari continuano ad essere non adeguati e le gare sono affette da una desertificazione sempre più diffusa. Occorre che le previsioni (coraggiose) del Dl Aiuti atterrino immediatamente altrimenti rischiamo che non si aprano nuovi cantieri né che quelli già aperti possano avanzare. Nel 2020 quando con l'Europa contrattualizzammo le previsioni del Pnrr, il 2026 sembrava lontano ma oggi ci accorgiamo che è dietro l'angolo. Accanto alla (titanica) azione riformatrice del Paese occorre portare sal in Europa per ottenere le erogazioni previste nei prossimi mesi, pur potendo contabilizzare anche lavori avviati ante Covid vi è una connotazione atemporale che sembra caratterizzare la quotidianità di tutti i giorni.

(*) Vicepresidente Ance con delega ai lavori pubblici

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