Fisco e contabilità

Da corte dei conti e Upb altolà ai «voli» elettorali

Dai miliardi di spesa «autofinanziata» che volano liberi nei programmi elettorali alla prosa delle tabelle sulla situazione dei conti italiani la distanza è siderale. A misurarla sono intervenuti ieri, in una contemporaneità casuale ma significativa, i due “controllori” principali dei bilanci pubblici: la Corte dei conti, che ha inaugurato il proprio anno giudiziario, e l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Authority creata dalla riforma della contabilità.

La posizione della Corte dei conti
Entrambi si sono tenuti a distanza di sicurezza dall’analisi delle proposte elettorali, ma l’opposizione di toni e di sostanza è implicita e inevitabile. «La via di un ricorso a un’ulteriore crescita del debito pubblico - ha spiegato nel suo discorso di insediamento Angelo Buscema, il neo-presidente della magistratura contabile (relazione del Presidente, relazione del del Procuratore Generale e della Procura Generale) - è preclusa non tanto dagli accordi europei, ma dal rispetto di un maggiore equilibrio intergenerazionale nella ripartizione degli oneri». Il riequilibrio dei conti, aggiunge Buscema, c’è stato, ma è «avvenuto anche per effetto del congelamento della dinamica dei redditi del pubblico impiego e con una compressione della spesa per investimenti talmente forte da creare preoccupazione per lo stesso mantenimento del capitale fisso a disposizione del sistema».

L’analisi dell’Upb
Su questi presupposti si innestano le prospettive tracciate dall’analisi dell’Upb. Tra 2008 e 2016, prima di tutto, l’unico freno effettivo al debito pubblico è stato l’avanzo primario, che ha pesato per 11 punti di Pil (un dato secondo solo ai 12 punti registrati in Germania). Stando ai documenti ufficiali di finanza pubblica, sempre all’avanzo primario toccherebbe ora lo sforzo principale nella discesa del debito, che dovrebbe arrivare al 123,9% del Pil fra due anni. Ma c’è un problema, anzi due.
Ad alimentare i “risparmi” è prima di tutto l’aumento dell’Iva incorporato nelle clausole di salvaguardia, ormai stra-note quanto tascurate dai programmi elettorali. Da lì dovrebbero arrivare 12,5 miliardi nel 2019 e 19,2 nel 2020. È vero che negli ultimi anni la minaccia delle clausole è sempre stata bloccata, ma il risultato è stato raggiunto a suon di «flessibilità» (leggi: deficit) che ora sarebbe più complicato trovare in Europa anche per il venir meno delle «circostanze eccezionali» (ciclo sfavorevole, bassa inflazione eccetera) che l’hanno motivata. Anzi, se il consuntivo 2017 confermerà le deviazioni significative dalle regole su saldo strutturale e spesa, secondo l’Authority scomparirebbero gli ultimi dubbi sulla richiesta di una manovra correttiva. L’ipotesi è però respinta da fonti dell’Economia, che rivendicano «la costante riduzione del deficit» registrata negli ultimi anni e sostengono che la ripresa in corso «fa ritenere che gli obiettivi di bilancio verranno centrati». In ogni caso, per fermare l’Iva bisognerebbe trovare entrate alternative equivalenti.
Ma c’è di più. Le prospettive della spesa primaria vedono stabile il ritmo di crescita delle prestazioni sociali, in aumento quello dei consumi intermedi e in frenata quelli del pubblico impiego, nonostante il rinnovo contrattuale e l’aumento del turn over. Sul terreno della tecnica contabile, il dato si spiega con il fatto che Regioni, sanità ed enti locali dovranno trovare nei propri bilanci le risorse per i rinnovi contrattuali senza sforare i tetti di spesa. Ma la pressione è molta, e i contratti rinnovati in ritardo oggi scadono il 31 dicembre: dal 2019 inizia un nuovo triennio.

L’analisi dell’Upb

Il discorso di insediamento del Presidente

Relazione orale del Procuratore generale

Relazione della Procura generale

Relazione del Presidente della Corte dei conti sull'attività nel 2017

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