Urbanistica

Pergolato e muro di cinta, ecco quando si superano i confini dell'edilizia libera

La bussola del Consiglio di Stato in due sentenze del 2022

di Massimo Frontera

Una tettoia che si vuole interpretare come pergolato. Se ne è occupato il Consiglio di Stato (Sesta Sezione) nella pronuncia pubblicata lo scorso 3 gennaio 2022. Il caso riguarda due manufatti realizzati nel territorio che ricade in un comune trentino da un privato per scopi funzionali alla sua attività economica. I manufatti, che secondo il promotore sono «del tutto assimilabili a pergolati», erano in realtà strutture di dimensione rilevanti (la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35x12 metri per 4 metri di altezza); ma soprattutto realizzate in un caso con travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e nell'altro caso con setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).

Tutta un'altra cosa rispetto al pergolato, che - ha ricordato il Consiglio di Stato - per rientrare in tale definizione, ed essere quindi rubricabile nell'edilizia libera, deve essere «un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti». Peraltro, osservano i giudici in replica alla asserita precarietà e amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l'orientamento in base al quale si deve seguire "non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale", per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee – come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell'impresa - non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili».

In un'altra sentenza pubblicata i primi di gennaio di quest'anno i giudici delle Sesta sezione si sono pronunciati anche su un caso di diniego di sanatoria edilizia che ha interessato anche la realizzazione di un muro di cinta. Al di là del caso specifico (che riguardava opere edili realizzati in difformità al progetto e su un manufatto plurivincolato) si ricorda il discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera, realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede un assenso dell'ente locale. «Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli di contenimento - osservano i giudici - va ribadito il principio di diritto per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà». «Diversamente - prosegue la sentenza -, quando si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo».

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