Urbanistica

Edilizia, l'unione di opere condonate realizza un nuovo intervento

Il caso, da manuale, esaminato dal Consiglio di Stato. La veranda realizzata sul balcone, ricordano inoltre i giudici, necessita del permesso di costruire

di Massimo Frontera

Uno spazio realizzato unendo una veranda e un ripostiglio, realizzati in tempi di diversi ed entrambi condonati. Il risultato non può essere considerato un intervento di natura pertinenziale, come ha cercato di sostenere il promotore proprietario, ma realizza un nuovo organismo edilizio, che il comune (di Napoli) ha intimato di demolire. Inutile il ricorso del proprietario al Tar Campania e il successivo appello al Consiglio di Stato, entrambi respinti.
La recentissima pronuncia di Palazzo Spada (n.8238/2022 del 26 settembre scorso) offre l'occasione ai giudici della Sesta Sezione di ribadire vari principi dirimenti ai fini dell'individuazione del confine tra edilizia libera e opere condizionate al rilascio di un titolo edilizio, come pure sulla corretta valutazione delle opere, sempre da considerare nel loro insieme e mai in modo "atomistico".

Il caso riguarda l'intervento di unione e collegamento di alcune opere realizzate in tempi diversi. Il primo è un corpo di fabbrica di circa 9 mq, destinato a ripostiglio, realizzato sul terrazzo di proprietà e regolarizzato approfittando del condono del 1985. Il secondo consiste in una veranda di oltre 27 mq chiusa su tre lati e coperta da lamiere, realizzata anch'essa sul terrazzo e condonata nel 2003. Secondo il promotore proprietario, il manufatto unitario da circa 37 mq così ottenuto, non darebbe luogo a una nuova opera ma solo a «interventi di natura manutentiva, pertinenziale o di ristrutturazione edilizia, eseguiti a parità di volume su di una preesistente struttura». Il primo e il secondo giudice sono invece di tutt'altra opinione.

Confermando la valutazione del Tar Campania, il Consiglio di Stato premette che nell'analisi del caso occorre fare «riferimento all'unitarietà degli interventi, anche se realizzati progressivamente e in epoche diverse, essendo altresì irrilevante la suddivisione in più unità abitative e la presentazione di istanze di condono separate (ove imputabili ad un unico centro di interessi)». In questa prospettiva occorre anche guardare all'aspetto funzionale, «al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico».

In conseguenza di questa impostazione, i giudici non possono che constatare che, nel caso specifico, «i due manufatti preesistenti – che prima era separati e adibiti, rispettivamente, a veranda chiusa su tre lati e ripostiglio – sono confluiti all'interno di un unico corpo di fabbrica, il quale costituisce un 'quid novi', per consistenza (37 mq. x 3 m. di altezza), composizione (tre vani forniti di impiantistica, piatto doccia, pavimenti, rivestimenti, infissi esterni e portoncino) e destinazione (abitativa con collegamento, tramite scala, all'appartamento sottostante), a nulla rilevando che sia stata utilizzata una metratura corrispondente a quella condonata». «Trattandosi della creazione di un organismo edilizio diverso da quello preesistente - prosegue la sentenza - (e non della mera rinnovazione e sostituzione di parti anche strutturali dell'edificio), l'Amministrazione non aveva l'onere di annullare in autotutela i titoli abilitativi rilasciati per condono».

Per quanto riguarda un terzo intervento - la realizzazione di una veranda di 4 mq accorpata al vano cucina dell'appartamento - i giudici ricordano l'orientamento della giurisprudenza, secondo cui «secondo cui le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, determinando una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire».

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