I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Tari nei magazzini a perimetro variabile

di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La regola generale che ha da sempre caratterizzato l'applicazione della Tari sulle attività produttive è l'esclusione dal computo della superficie tassabile delle aree in cui si generano, in via continuativa e prevalente rifiuti speciali. Esclusione rinvenibile nel comma 649 dell'articolo 1 della legge 147/2013, nella Tari, ma già riscontrabile nei previgenti prelievi, come ad esempio la Tarsu, seppure con sfumature differenti, allorquando, il comma 3 dell'articolo 62 del Dlgs 507/1993, escludeva quella parte della superficie dei locali e delle aree nelle quali, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali. Va rilevato che nella Tia, invece, manca una simile disposizione, probabilmente per il fatto che il legislatore delegato del 1997 riteneva di istituire un prelievo corrispettivo, come tale dovuto in relazione ai rifiuti urbani (e all'epoca speciali assimilati) effettivamente conferiti.

Tale esclusione determina la non debenza del tributo, in relazione alle citate superfici, sia per quanto attiene alla quota fissa e sia per quanto attiene alla quota variabile. Seppure, recentemente, la Corte di cassazione ha invece ritenuto che resti comunque dovuta la quota fissa, proprio perché destinata a finanziare costi necessari per l'impianto del servizio di gestione dei rifiuti, servizio di interesse generale (Cassazione, n. 8222/2022).

Con l'entrata in vigore della nuova classificazione dei rifiuti, operata dal Dlgs 116/2020, cambia il perimetro delle superfici escluse. Fino al 2020 l'individuazione dei rifiuti speciali, intesi come rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche, era rimessa ai comuni che disponevano del potere di assimilazione dei predetti rifiuti a quelli urbani, secondo i criteri quali-quantitativi stabiliti dallo Stato. Dal 2021 il perimetro dei rifiuti urbani è invece definito in modo uniforme dalla legge, comprendendo negli stessi, oltre che i rifiuti delle utenze domestiche, anche quelli delle utenze non domestiche, purchè rientranti nelle tipologie stabilite dall'allegato L-quater al Dlgs 152/2006 e prodotti dalle utenze non domestiche contenute nell'allegato L-quinquies del medesimo decreto. Con l'esclusione, in ogni caso, dei rifiuti della produzione ed in particolare delle utenze industriali (non comprese nell'allegato L-quinquies) e di quelli agricoli, da ritenersi sempre speciali.

Come evidenziato nella nota del Mite del 12 aprile 2021, sono esclusi dalla tassazione i locali dove avviene la lavorazione industriale, secondo una lettura oggettiva e non soggettiva della disposizione del Dlgs 116/2020, volta ad escludere dai rifiuti urbani i soli rifiuti del processo produttivo e non in generale tutti i rifiuti dell'attività industriale (quali ad esempio quelli degli uffici).

Tuttavia, l'esclusione riguarda non solo i reparti di lavorazione industriale, ma anche i magazzini di materie prime e merci "funzionalmente ed esclusivamente" collegati ad essi. Ciò per il disposto del comma 649 della legge 147/2013. In questo caso è irrilevante verificare se i rifiuti prodotti in tali magazzini siano o meno speciali, essendo sufficiente, per determinarne l'esclusione dal tributo, il legame di accessorietà tra il magazzino ed il reparto di lavorazione industriale che, ope legis, genera rifiuti speciali. La modifica rispetto alle norme vigenti fino al 2020 è, nel caso delle attività industriali, particolarmente rilevante. Infatti, con la vecchia definizione di rifiuto urbano, il reparto produttivo dell'attività industriale era escluso dal tributo solo ed in quanto nello stesso fossero potenzialmente producibili «in via continuativa e prevalente» rifiuti speciali non assimilati. Definizione piuttosto controversa che, tuttavia, sulla base di un'attenta lettura della posizione ministeriale espressa nella R.M. n. 2/Df/2014, lungi dal voler escludere tout cour dalla tassazione le superfici in cui si producono anche solo per mera prevalenza quantitativa rifiuti speciali rispetto agli urbani, intende non assoggettare al tributo quei locali (o parte di essi) in cui la produzione di rifiuti assimilati avviene in quantità non apprezzabili. In sostanza, si tratta di aree in cui i rifiuti speciali sono esclusivi o nettamente prevalenti rispetto ai rifiuti assimilati (oggi urbani). Con la nuova definizione di rifiuto urbano, invece, il reparto produttivo dell'attività industriale è completamente escluso dalla tassazione, in quanto i rifiuti nello stesso prodotti sono tutti ope legis speciali. Ciò determina anche una rilevante conseguenza in termini probatori: mentre in vigenza della vecchia classificazione, sempre limitandoci al caso delle attività industriali, era onere del soggetto passivo dimostrare la produzione di rifiuti speciali "prevalente" ("nettamente prevalente") rispetto a quella dei rifiuti urbani, dopo l'operatività del Dlgs 116/2020 è la stessa natura dell'attività che, quantomeno nell'ambito dei reparti produttivi, determina la classificazione del rifiuto come speciale. Sarà sufficiente quindi dimostrare la tipologia di attività svolta e la destinazione effettiva del locale a reparto di lavorazione industriale.

L'effetto sulla tassazione dei magazzini è consequenziale. Prima erano esclusi solo se ed in quanto il produttore industriale fosse stato in grado di dimostrare la produzione di rifiuti speciali nei reparti produttivi, oggi lo sono per il semplice fatto di essere funzionalmente ed esclusivamente collegati ad un reparto produttivo industriale.

Ma quali sono i magazzini "funzionalmente ed esclusivamente" collegati? E' su questo punto che entra in gioco il regolamento comunale. La norma del comma 649 rimette espressamente alla potestà regolamentare degli enti locali la determinazione dei citati magazzini. Quindi non esiste una norma di legge che individui quali sono i magazzini che beneficiano dell'esclusione, ma la loro identificazione è rimessa alla potestà regolamentare comunale. Spetta al regolamento definire quando un magazzino è funzionalmente collegato al processo produttivo (ciò identificarne gli elementi e le caratteristiche, in termini, ad esempio, di distanza, superfici o altri elementi) e quando è esclusivamente collegato allo stesso (tipicamente se è destinato solo ad accogliere materie prime o merci del processo produttivo, escludendo i magazzini utilizzati anche per altre attività, non direttamente collegate al processo produttivo). In questa ottica, le regolamentazioni comunali sono arrivate a specificare anche cosa si intenda per "merci". Mentre è chiaro il concetto di "materia prima", intesa come input fisico del processo produttivo, più vago è quello di "merce", ben potendosi interpretare come semplici materiali di consumo, sempre di ausilio al processo produttivo, ovvero anche come prodotti finiti del medesimo processo. Sul punto, quindi, seppure la posizione del MiteITE sembra includere tout cour nell'esclusione dal tributo tutti i magazzini (posizione comunque espressa in una nota, neanche configurabile come una circolare, che come noto, non ha alcuna rilevanza per gli enti locali), siano essi destinati ad accogliere materie prime, merci o prodotti finiti, la norma del comma 649 conferisce ai regolamenti comunali la possibilità di fornire una disciplina di maggior dettaglio sul punto. Tanto più che si tratta di esercizio dell'amplia potestà regolamentare in materia di entrate che il legislatore, sulla scorta dei principi costituzionali, assegna ai comuni. L'esclusione dei magazzini dei prodotti finiti potrebbe avere una sua logica volta a far rientrare tra le superfici escluse solo quelle destinate ad accogliere le materie prime che, immesse nel processo produttivo, concorrono alla produzione dei rifiuti speciali dallo stesso generati, e non anche quelle in cui sono conservati e preparati per la spedizione i prodotti finiti, operazioni che ben possono generare, anche solo potenzialmente, rifiuti urbani (ricordando che il presupposto del tributo è la suscettibilità di produzione dei rifiuti e non l'effettiva produzione). In quest'ultimo caso tornano a valere le regole generali: il magazzino di prodotti finiti che, secondo la regolamentazione comunale non può considerarsi funzionalmente ed esclusivamente collegato al reparto produttivo, potrebbe non essere soggetto al tributo laddove il possessore o il detentore del locale sia in grado di dimostrare che nello stesso si producono solo (o comunque in modo nettamente prevalente) rifiuti speciali (quali sono, ad esempio, secondo la giurisprudenza prevalente, gli imballaggi terziari ed i rifiuti da imballaggio terziario).

(*) Vice presidente Anutel

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