Amministratori

Il paradosso dei balneari, ora le gare possono ripartire con il Codice fascista della navigazione

Martedì scade il blocco ma cadono anche i termini sui criteri della concorrenza

di Carmine Fotina e Gianni Trovati

Un caos. E un paradosso. Il caotico intreccio normativo costruito nella conversione del decreto Milleproroghe per rinviare ancora l’appuntamento con le gare per le concessioni balneari apre in realtà le porte ai bandi comunali a partire da martedì. Gli enti locali, però, non potranno affidarsi ai criteri annunciati dalla legge sulla concorrenza, ma dovranno rifarsi al Codice della navigazione, approvato dal regime fascista ormai vicino al crepuscolo con il Regio decreto del 30 marzo 1942.

I termini generali dell’ennesima battaglia sulle spiagge ingaggiata dal governo di centrodestra sono chiari. La legge sulla concorrenza approvata l’anno scorso dall’esecutivo Draghi aveva incaricato il governo di fissare con decreto legislativo i parametri per guidare i bandi comunali e avviare le gare che avrebbero riallineato l’Italia alla disciplina comunitaria.

Il tutto dovrebbe avvenire entro il 27 febbraio, lunedì prossimo, quando oltre al decreto sui criteri avrebbe dovuto vedere la luce anche quello sulla mappatura della situazione attuale. Qui interviene la legge di conversione del Milleproroghe: che non rinvia la prima scadenza, forse per non creare un contrasto troppo esplicito con gli obblighi comunitari, ma fa slittare di cinque mesi la seconda, sul censimento, ed estende la validità delle concessioni in essere fino al 31 dicembre 2024. Le nuove norme, poi, vietano ai Comuni di avviare le gare fino all’entrata in vigore del decreto sui criteri. Qui nasce il paradosso, che emerge anche nella lettera del Capo dello Stato quando ricorda la «scadenza del 27 febbraio prossimo» per l’emanazione del decreto e sottolinea «l’effetto di creare ulteriore incertezza considerato che la delega in questione verrà meno fra tre giorni».

Per quale ragione? In termini di diritto, la questione è semplice: con la scadenza di lunedì decade il gancio a cui è appeso il blocco delle gare dei Comuni, ma non la validità delle concessioni in essere che è appunto stata estesa fino al termine del 2024. Risultato: i Comuni possono emanare i bandi, che però avrebbero efficacia solo dal 1° gennaio 2025. E che, per di più, non potrebbero seguire i parametri promessi dalla legge sulla concorrenza per la semplice ragione che quella promessa resterebbe inattuata.

Il ricco panorama legislativo italiano offre però un’altra via. Quella tracciata appunto dal Codice della navigazione, che all’articolo 37 disciplina il caso: se ci sono più domande, spiega la norma, il Comune deve «preferire il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che risponda ad un più rilevante interesse pubblico». Il tutto, ovviamente, «a giudizio dell’amministrazione».

È in questo labirinto che ora dovrà avventurarsi il governo nell’«approfondimento» promesso ieri da Palazzo Chigi in risposta alle obiezioni del Quirinale.

Approfondimento che si troverà subito di fronte a un bivio: mettere un’altra toppa senza però andare in senso contrario alle indicazioni del Colle oppure innestare direttamente la retromarcia sullo stop alle gare che però è una priorità parecchio sentita dalla maggioranza.

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