Personale

Falsa attestazione in servizio, nessun rimborso delle spese legali anche con sentenza di assoluzione

Il dipendente era stato assolto in sede penale per la timbratura del cartellino marca tempo di un collega

di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

Il dipendente pubblico assolto in sede penale (reati di truffa e falso in atto pubblico) per presunti fatti consistenti nella timbratura del cartellino marca tempo di un collega, non ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute, in quanto è inesistente lo specifico interesse proprio dell'amministrazione per attività direttamente a lei imputabile ovvero la diretta connessione con il fine pubblico. In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 13351/2022.

La Corte di appello territorialmente competente, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da un dipendente pubblico per il pagamento delle spese legali sostenute nel processo penale (poi definito con sentenza di assoluzione) che lo aveva visto imputato dei reati di truffa aggravata, falso in atto pubblico e sostituzione di persona per avere chiesto ad alcuni colleghi di provvedere all'inserimento nell'apposito lettore del suo cartellino marcatempo.

La decisione si fonda sul presupposto che il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente richiedesse il verificarsi di due condizioni e cioè che il procedimento, in cui il dipendente era coinvolto, riguardasse fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio e che non vi fosse conflitto di interessi tra il medesimo e l'ente: condizioni entrambe non configurabili nel caso di specie, poiché la condotta del lavoratore, il quale chieda ad un collega di provvedere, al suo posto, alla timbratura del cartellino marcatempo, non poteva essere ritenuto un atto compiuto in adempimento di un dovere attinente al rapporto di servizio in quanto finalizzato a far risultare falsamente la presenza in servizio.

Il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione e per gli ermellini la soluzione del caso è da ricercare nel consolidato orientamento della stessa Corte.

In materia di pubblico impiego, il contributo, da parte del datore di lavoro pubblico, alle spese per la difesa del proprio dipendente, che sia imputato in un procedimento penale, presuppone l'esistenza di uno specifico interesse proprio dell'amministrazione, che sussiste ove l'attività sia imputabile alla pubblica amministrazione e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico.

Dunque è da ritenere che il diritto al rimborso costituisca espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l'interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l'immagine della pubblica amministrazione per cui lo stesso abbia agito, e, dall'altro, a riferire al titolare dell'interesse sostanziale le conseguenze dell'operato di chi agisce per suo conto (sentenza n. 2366/2016).

Già in passato, si legge nella sentenza, la Corte ha escluso la sussistenza delle condizioni per il rimborso in relazione ad un procedimento penale per timbratura del cartellino marcatempo di altro dipendente, a nulla rilevando l'intervenuta assoluzione (sentenza n. 20561/2018).

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