Amministratori

Danno erariale all'assessore che assegna gli immobili comunali a condizioni «fuori mercato»

Fissato un canone simbolico (decurtato del 90 per cento rispetto ai valori commerciali)

di Michele Nico

Con l'ordinanza n. 1157/2023, la Cassazione civile a Sezioni Unite ha confermato la condanna al risarcimento di un danno erariale per oltre 100mila euro a carico di un assessore comunale, colpevole di aver assegnato a varie associazioni non aventi fine di lucro 14 unità immobiliari di proprietà dell'ente locale a titolo di comodato gratuito o a fronte di un canone simbolico (decurtato del 90 per cento rispetto ai valori di mercato), con un conseguente pregiudizio patrimoniale per la Pa pari alla differenza tra i canoni percepiti e quelli dovuti. Va precisato che nel caso di specie il Comune aveva adottato un regolamento che non consentiva l'assegnazione degli immobili in comodato gratuito, e che prevedeva soltanto la possibilità di applicare agli assegnatari, in presenza di determinati requisiti, un canone ridotto al 50 per cento rispetto a quello di mercato.
A fronte di tale condotta la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale centrale d'appello, con la sentenza n. 323/2021 aveva confermato la condanna pronunciata dal giudice di primo grado a carico di alcuni amministratori e dirigenti dell'amministrazione comunale, tra cui l'assessore che ha proposto l'odierno ricorso avanti la Suprema Corte.

La responsabilità gestionale
Tra i motivi addotti contro la sentenza impugnata l'amministratore ha lamentato, in primo luogo, l'eccesso di potere giurisdizionale in cui sarebbe incorsa la magistratura contabile per aver addossato la responsabilità in questione all'organo politico, in spregio al principio di netta separazione dei ruoli tra organi del governo locale e dirigenti preposti alla gestione amministrativa, finanziaria e tecnica dei beni comunali.
In sostanza, l'assessore si era limitato a sottoscrivere con le associazioni assegnatarie un protocollo d'intesa concernente la locazione degli immobili a canone zero e a sottoporre il documento all'approvazione della Giunta comunale, ma i contratti di comodato erano stati poi sottoscritti dal dirigente del servizio, che, ad avviso del ricorrente, doveva identificarsi quale unico organo responsabile preposto al vaglio di legittimità dell'azione amministrativa.
All'insegna dell'aforisma in claris non fit interpretatio la Corte ha respinto una siffatta argomentazione, ravvisando una condotta inequivocabilmente connotata da colpa grave a carico dell'assessore firmatario del protocollo d'intesa, a causa del chiaro tenore dei regolamenti comunali in materia, della consapevolezza dell'illegalità delle assegnazioni e della protratta inerzia nel recupero del dovuto e nel ripristino della legalità violata.

La discrezionalità amministrativa
Le Sezioni Unite hanno poi osservato che nel caso in esame il giudice contabile non ha sottoposto al vaglio la discrezionalità amministrativa o politica volta ad assegnare gli immobili comunali alle associazioni operanti in ambito sociale, bensì le modalità attraverso le quali tale discrezionalità è stata in concreto esercitata. A tale riguardo la Corte dei conti, prendendo le mosse dalla considerazione che la discrezionalità dell'amministratore può ritenersi legittimamente svolta solo quando siano osservati i principi di buon andamento, nonché di efficacia, efficienza ed economicità, si è limitata ad accertare l'effettiva violazione regolamentare da parte dei vertici dell'ente e il danno erariale conseguente alla condotta antigiuridica in esame.

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