Personale

Dipendente infedele, la transazione con l'ente non diminuisce il danno

Indicazioni che arrivano dalla sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Toscana

di Arturo Bianco

Un dipendente pubblico condannato in relazione alle proprie attività d'ufficio deve rifondere all'ente il danno patrimoniale che ha procurato, sia per la violazione dei principi che presiedono al rapporto di lavoro, sia per il disservizio, sia per la tangente, sia per l'assenteismo, nonchè deve rifondere anche quello non patrimoniale, che matura in misura differenziata per ognuna di tali voci. Sono queste le più importanti indicazioni che arrivano dalla sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Toscana n. 3/2022. La decisione, che determina un effetto assai pesante in termini di risarcimento dovuto, riassume molti dei principi che sono alla base della maturazione della responsabilità amministrativa, sulla base del dettato legislativo e delle interpretazioni della giurisprudenza contabile.

In premessa ci viene chiarito che le somme versate da un dipendente alla propria amministrazione a titolo di transazione, indipendentemente dal fatto che si sia trattato di un accordo o di una determinazione unilaterale dell'ente. non fanno venire meno il presupposto della azione di responsabilità amministrativa/contabile. E inoltre la misura di questo versamento non può essere assunta come base per la determinazione del danno apportato all'ente, limitandosi a costituire una voce che deve essere defalcata dalla condanna.

Il danno matura per la cosiddetta «lesione del rapporto sinallagmatico», cioè per il fatto che nello svolgimento della prestazione lavorativa il dipendente non si è impegnato per lo svolgimento delle proprie attività di istituto, ma per la effettuazione di altre estranee ai suoi compiti e che, peraltro, hanno determinato un pregiudizio alla Pa. Si deve inserire all'interno di questa voce anche il fatto di avere determinato un clima di intimidazione all'interno dell'ufficio, così da inibire la possibilità da parte degli altri dipendenti di segnalare le illegittimità. Occorre aggiungere il cosiddetto «danno da disservizio», con cui si intendono i costi aggiuntivi che l'ente ha dovuto sostenere per il ripristino della legalità, dell'efficienza e della efficacia dell'azione amministrativa. Un danno ulteriore che è maturato nel caso specifico è quello da assenteismo, che deve essere quantificato sulla base dei compensi erogati come retribuzione per i periodi in cui il dipendente non è stato effettivamente in servizio, mentre compariva come presente.

Altra voce di danno è quella da "tangente", che viene determinata in una misura almeno pari a quanto illegittimamente percepito. Da tali somme non vanno detratti i crediti di lavoro vantati dal dipendente nei confronti dell'ente, una voce questa che è estranea al giudizio di responsabilità. A queste voci di danno che hanno una natura patrimoniale, si deve aggiungere quello che si è determinato all'immagine dell'ente. Per la maturazione di tale danno non è necessario, ci dicono i giudici contabili toscani, il preventivo accertamento del fatto con sentenza passata in giudicato; esso matura, sulla base delle previsioni introdotte dai decreti di attuazione della legge 124/2015, (Madia), nel caso di assenteismo. La sua misura può essere determinata in via equitativa tenendo conto della qualifica del dipendente, della gravità e frequenza degli illeciti, della intenzionalità e della diffusione della conoscenza di quanto accaduto. Il danno alla immagine dell'ente matura anche per le condanne penali che sono state irrogate ad un dipendente pubblico. Può infine essere quantificato, oltre che in via equitativa, nel doppio di quanto illegittimamente percepito da dipendente stesso. Dalla quantificazione complessiva vanno detratte le somme ha già versato all'ente.

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