Urbanistica

La Consulta boccia la legge della Regione Lombardia sugli immobili dismessi

Riduce il Comune al «rango di mero esecutore materiale di scelte pianificatorie effettuate a livello regionale

di Pietro Verna

La normativa della Regione Lombardia in materia di recupero degli immobili abbandonati e degradati riduce il Comune al «rango di mero esecutore materiale di scelte pianificatorie effettuate a livello regionale». In altri termini, «comprime» l'esercizio della funzione fondamentale della pianificazione urbanistica, attribuita ai Comuni dall'articolo 14, comma 27, lettera d), del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, secondo cui «sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione: [...] d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale».

Lo ha stabilito la Consulta con la sentenza 28 ottobre 2021 n. 202, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della legge Regione Lombardia 26 novembre 2019 n. 18, recante (Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale), secondo cui:
• la richiesta del titolo edilizio o gli atti equipollenti quali la segnalazione certificata di inizio attività, la comunicazione di inizio lavori asseverata o l'istanza di istruttoria preliminare funzionale all'ottenimento devono essere presentati dai proprietari degli immobili abbandonati e degradati («immobili di qualsiasi destinazione d'uso, dismessi da oltre cinque anni, che causano criticità per uno o più dei seguenti aspetti: salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale e urbanistico-edilizio») entro tre anni dalla loro individuazione;
• fatte salve le norme statali e quelle sui requisiti igienico-sanitari, gli immobili già individuati dai comuni come abbandonati e degradati usufruiscono di misure incentivanti consistenti nell'incremento dei diritti edificatori (fino al 25% della superficie esistente), nell'esenzione dall'obbligo di reperimento degli standard urbanistici, nonché della possibilità di derogare alle norme sulle distanze e alle norme quantitative, morfologiche e tipologiche previste dagli strumenti urbanistici;
• i Comuni aventi popolazione inferiore ai ventimila abitanti, per motivate ragioni di tutela paesaggistica, possono individuare gli ambiti del proprio territorio esclusi dagli incentivi sul patrimonio edilizio dismesso.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tar Lombardia- Milano, con le ordinanze n. 371-372-373 del 10 febbraio 2021 con cui i giudici amministrativi meneghini avevano sostenuto che la Regione avrebbe imposto una «disciplina urbanistico-edilizia […] rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere [lo] strumento urbanistico generale». Argomentazioni che hanno colto nel segno. La Consulta ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui: (i) la pianificazione urbanistica rappresenta una funzione che non può essere oltre misura compressa dal legislatore regionale, perché «il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all'assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica, siano libere di compiere» (sentenza n. 378 del 2000); (ii) alla regione fanno capo esclusivamente le funzioni di programmazione e di coordinamento di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, altrimenti il legislatore regionale finirebbe «per paralizzare la potestà pianificatoria del Comune al di là di quanto strettamente necessario» (sentenza n. 179 del 2019 che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 5, comma 4, della legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 "Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato", nella parte in cui non consente ai comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente). Dello stesso avviso è la giurisprudenza amministrativa. Basta citare la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2710 del 10 maggio 2012, secondo cui « il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all'interesse all'ordinato sviluppo edilizio del territorio [...], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti». Valori che il comune può tutelare, «in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, [nonché] delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio».

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