Amministratori

Partecipate, l'abuso di posizione estende la condanna al Comune

Il Tribunale di Palerm0 coinvolge l'ente per il crack dell'azienda dei rifiuti

di Stefano Pozzoli

«Pare per ciò evidente l’abuso dei poteri di direzione e coordinamento (ex articolo 2497 del Codice civile) da parte del Comune». «Il Comune di Palermo va, quindi condannato a corrispondere al Fallimento complessivi euro 50.800.979,15 (di cui 43.198.045,34 per sorte rivalutata e 7.602.933,81 per interessi)». Per il Tribunale di Palermo (sezione V civile, sentenza n. 1842/2021) «che vi sia stata una eterodirezione di Amia da parte dell'ente pubblico è circostanza acquisita agli atti del giudizio».

L’antefatto è il fallimento - avvenuto nel 2010, durante i difficili anni dell’amministrazione Cammarata – di Amia, la società dei rifiuti che il Comune abbandonò al suo destino per costituire, successivamente, una nuova società Risorse Ambiente Palermo.

Eventualità, quest’ultima, oggi vietata dal Testo unico delle società partecipate, che recita: «Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita» (articolo 14, comma 6).

Il Tribunale contesta al Comune di Palermo, per fatti risalenti al primo decennio del secolo, un abuso del suo potere di «direzione e coordinamento».

«Amia spa è una società in house su cui il comune di Palermo esercita un “controllo analogo” a quello che ha sui propri uffici interni (avendo l’ente pubblico un controllo gestionale e finanziario stringente sulla società), il requisito della direzione e coordinamento deve ritenersi in re ipsa, tanto in base al condivisibile orientamento della giurisprudenza contabile, secondo cui “il ‘controllo analogo' determina l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento nell'interesse istituzionale dell'Ente pubblico e non nell'interesse esclusivo della Società controllata” (sezione controllo Piemonte, delibera n. 3/12)».

Il Comune, queste le ragioni dell'abuso di posizione, ha in quegli anni, "costretto" Amia a stabilizzare 900 lavoratori socialmente utili nella controllata Amia Essemme, a rinunciare a milioni di euro di crediti verso il Comune dietro il "ricatto" che altrimenti non avrebbe effettuato un aumento di capitale, e a costringere la società a cedere i crediti verso il Comune a una azienda creditizia a condizioni molto svantaggiose e comunque evitabili semplicemente onorando il proprio debito.

Il Comune abusa della sua posizione, è chiaro. «Ciò tuttavia non costituisce di per sé una esimente di responsabilità per i consiglieri di amministrazione di una partecipata pubblica. Anche in questo caso gravano sui medesimi gli obblighi di cui all'art. 2392 c.c. previsti per tutti gli amministratori di spa che non risultano derogati nel caso in esame. Ciò senza considerare che qualora gli amministratori non avessero ritenuto condivisibili le direttive impartite dal socio unico (…) e avessero avuto difficoltà ad opporvisi, avrebbero sempre potuto presentare le proprie dimissioni (al fine di evitare responsabilità personali …)».

La sentenza rappresenta un monito a chi crede che si possa costringere una società a scelte irrazionali, pensando di lasciare il cerino in mano ai soli amministratori della azienda. Di questo il testo unico ha fatto tesoro sotto molti profili, sia attribuendo chiare responsabilità ai soci (articolo 12, comma 2), sia costringendo a computare le perdite sul bilancio dei soci (articolo 21, comma 1) e, soprattutto, introducendo un regime per la prevenzione delle crisi all'articolo 14.

Sono norme, però, che vanno rafforzate, perché è inaccettabile che il fallimento diventi una comoda via di fuga per chi, cinicamente, pensano di poter evitare di affrontare i problemi sacrificando gli amministratori della società e rinviando il peso delle soluzioni al sindaco che verrà.

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