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Corte dei conti, allarme quarta rata Pnrr - I dirigenti responsabili vanno sanzionati

Sotto esame del collegio di controllo il ritardo sulle stazioni per l’idrogeno stradale e l’installazione di colonnine elettriche

di Manuela Perrone e Gianni Trovati

L’obiettivo europeo che chiede all’Italia di aggiudicare entro il 30 giugno gli appalti per la costruzione di 2.500 colonnine di ricarica per i veicoli elettrici nelle autostrade e di altre 4mila nelle aree urbane è in «serio pericolo» a causa di «un ritardo ormai consolidato» prodotto da «un generale difetto di programmazione» da parte del ministero dell’Ambiente, soggetto titolare dell’investimento finanziato con 740 milioni di fondi Ue. Mentre della milestone che prevedeva entro il 31 marzo l’aggiudicazione dei lavori per almeno 40 stazioni di rifornimento a idrogeno per il trasporto stradale, gestita dal ministero delle Infrastrutture, non si può che rilevare «il mancato conseguimento».

L’allarme arriva dalla Corte dei conti, che in due delibere del collegio del controllo concomitante, quello nato per verificare in corso d’opera lo stato di avanzamento del Pnrr, mette per la prima volta nero su bianco il «concreto rischio di riduzione del contributo finanziario messo a disposizione dalla Ue» nella quarta rata da 16 miliardi a cui sono appunto collegati gli obiettivi programmati entro il 30 giugno. Da qui discende un altro inedito ancora più rilevante: proprio perché i ritardi mettono in pericolo la consistenza dell’assegno atteso da Bruxelles, la loro genesi può configurare le «gravi irregolarità gestionali» previste dal decreto semplificazioni del governo Conte-2 (articolo 22 del Dl 76/2020), che fanno scattare la «responsabilità dirigenziale» disciplinata dal Testo unico sul pubblico impiego (articolo 21, comma 1 del Dlgs 165/2001). Tradotto, i magistrati contabili invitano il ministero a individuare i dirigenti che hanno causato direttamente l’inciampo dell’investimento, e di sanzionarli con penalità che possono spaziare dalla «impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale» fino alla revoca prima del tempo. Qui, al di là dei casi specifici esaminati dalle delibere 17 e 18/2023, si incontra l’aspetto più rilevante, visto che il quadro tracciato dal ministro per il Pnrr Raffaele Fitto nell’informativa al Parlamento mostra intoppi e difficoltà distesi su un orizzonte molto più ampio di quello esaminato dai due atti. In un contesto del genere, il rischio è che lo spettro della responsabilità cominci a pesare sull’azione dei dirigenti in prima linea nella gestione del Pnrr.

Anche perché la situazione più critica, che per la prima volta spinge a queste conclusioni il collegio guidato da Massimiliano Minerva, è quella di un investimento criticato a gennaio dallo stesso ministro oggi titolare del dossier, il vicepremier Matteo Salvini, che aveva ipotizzato di cancellarlo perché «i progetti non incontrano l’interesse delle imprese». Si tratta delle stazioni a idrogeno, per le quali il programma prevedeva contributi per 230 milioni destinati ad almeno 40 progetti, mentre i fondi assegnati si fermano a 101,9 milioni (quindi il 44% del totale) per 35 interventi. Il problema nasce anche dallo scarso entusiasmo degli operatori privati, frenato dall’incrocio fra «l’elevato investimento di capitale e i costi operativi» da un lato e «il sottoutilizzo degli impianti durante la prima fase di sviluppo del mercato», che «può portare a un flusso di cassa negativo nei primi 10-15 anni» come si legge nel Quadro strategico nazionale.

Il punto è sostanziale perché se l’investimento non promette ritorni è complicato obbligare gli operatori a metterci dei soldi. Proprio per questo il Mit aveva limitato al 50% l’aiuto pubblico, per evitare di trovarsi di fronte «operatori non fortemente interessati all’iniziativa, motivati esclusivamente dall’elevata intensità di contributo». Ma la Corte contesta questa scelta, insieme alla «mancanza di forme idonee di pubblicità dell’avviso» e ai ritardi nella definizione dei criteri per individuare le aree in cui collocare le stazioni.

Per certi versi sembra ancora più grave il quadro offerto dalla misura sulle colonnine elettriche, che coinvolge più fondi (740 milioni contro 230) e inanella una collana di ritardi gestionali e amministrativi. L’affanno sembra confondere la stessa strategia del ministero dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto Fratin, che nelle controdeduzioni sostiene che l’obiettivo di giugno è ancora pienamente raggiungibile ma allo stesso tempo spiega di averne proposto il rinvio a fine anno.

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