Appalti

Gare, anche la risoluzione consensuale di un vecchio contratto può portare all'esclusione

Per il Consiglio di Stato tra gli illeciti professionali non rientrano solo le risoluzioni per inadempimento. E le imprese hanno l'obbligo di dichiarare

di Roberto Mangani

La risoluzione di un precedente contratto di appalto con altro committente può costituire legittima causa di esclusione dalla gara anche qualora si sia trattato, sotto il profilo formale, di risoluzione consensuale e non di risoluzione per inadempimento. Anche l'intervenuta risoluzione consensuale deve quindi essere oggetto di dichiarazione da parte del concorrente in sede di gara, al fine di consentire all'ente appaltante di avere un quadro compiuto della situazione del concorrente stesso, ai fini delle sue autonome valutazioni.
Tali valutazioni sono necessarie in quanto la causa di esclusione collegata a una precedente risoluzione contrattuale non ha carattere automatico, ma presuppone un'adeguata attività di apprezzamento da parte dell'ente appaltante che tenga conto delle circostanze e della tempistica della stessa.

Sono questi i principi affermati dal Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 settembre 2022, n. 7709, con una pronuncia che si caratterizza per un approccio di tipo sostanzialistico, volto a un'interpretazione più attenta alla ratio della norma in esame che alla sua formulazione letterale.

Il fatto
Un Comune aveva bandito una procedura aperta per l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani e servizi accessori. Nell'ambito della procedura l'ente appaltante procedeva all'esclusione di un concorrente a seguito della constatazione della mancata dichiarazione in sede di gara da parte dello stesso della risoluzione di un precedente contratto di appalto con altro Comune per un servizio analogo. Il provvedimento di esclusione, unitamente alla conseguente aggiudicazione a favore di altro concorrente, veniva impugnato dall'interessato davanti al giudice amministrativo.L'esclusione era stata disposta in base a quanto previsto dall'articolo 80, comma 5, lettera c- ter) del D.lgs. 50/2016. Tale disposizione prevede che sia escluso dalla gara il concorrente che abbia dimostrato significative e persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne abbiano causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili. La norma aggiunge inoltre che nel disporre in merito all'esclusione l'ente appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa.

Nel caso di specie, nonostante la precedente risoluzione fosse stata formalmente qualificata come consensuale, l'ente appaltante aveva accertato che in realtà la stessa era conseguenza della mancata utilizzazione di veicoli elettrici da parte dell'appaltatore, configurandosi tale carenza come inadempimento contrattuale. L'effetto era che tale risoluzione costituiva un'ipotesi di grave illecito professionale, come tale idonea a determinare l'esclusione dalla gara ai sensi della lettera c – ter) del comma 5 dell'articolo 80.

Il provvedimento di esclusione veniva impugnato dal concorrente davanti al giudice amministrativo. A fondamento del ricorso veniva evidenziato che, diversamente da quanto erroneamente argomentato da parte dell'ente committente, la risoluzione in esame era da considerarsi di tipo consensuale e non per inadempimento. Con la conseguenza che la stessa non era oggetto di un onere dichiarativo in capo al concorrente, non incidendo sull'integrità morale dello stesso.

La decisione del Tar Lazio
Il giudice amministrativo di primo grado ha respinto il ricorso. A sostegno di questa decisione ha ricordato in primo luogo che la giurisprudenza ha ripetutamente avuto modo di affermare che la causa di esclusione in questione non è di tipo automatico, ma presuppone necessariamente l'accertamento da parte dell'ente appaltante che la risoluzione sia scaturita da significative e persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto. Sotto questo profilo lo stesso ente appaltante deve dare evidenza con adeguata e articolata motivazione di aver valutato natura e entità di tali carenze e dell'inadempimento che ne è derivato, attraverso un percorso logico – giuridico che evidenzi in particolare la gravità dell'inadempimento e il tempo trascorso dalla violazione, elementi specificamente richiamati dalla norma.

Nel caso di specie questo onere motivazionale risulta essere stato adeguatamente assolto. In particolare, dal provvedimento di esclusione emerge come la risoluzione del precedente contratto di appalto, ancorchè formalmente qualificata come consensuale, sia in realtà conseguenza di un inadempimento del concorrente a un preciso obbligo contrattuale, rappresentando quindi un'ipotesi di grave illecito professionale.In sostanza, secondo il giudice di primo grado non rileva la veste formale che le parti hanno inteso dare all'intervenuta risoluzione, che può trovare giustificazione in ragioni di mera convenienza (come, nel caso di specie, consentire la prosecuzione del servizio fino agli esiti della nuova gara di appalto). Ciò che invece è decisivo è il comportamento sostanziale dell'impresa, che se caratterizzato da gravi e persistenti violazioni di obblighi contrattuali appare idoneo a qualificare la risoluzione come dovuta a inadempimento, al di là del fatto che le parti l'abbiano nominalmente configurata come di tipo consensuale.

La sentenza del Tar Lazio è stata oggetto di appello da parte del ricorrente originario. L'appello è stato essenzialmente fondato sulla ritenuta impossibilità di prefigurare un'equivalenza tra risoluzione per inadempimento e risoluzione consensuale, specie in relazione al principio di tassatività delle cause di esclusione. Secondo questa prospettazione la causa di esclusione disciplinata dalla lettera c- ter) del comma 5 dell'articolo 80 sarebbe caratterizzata per la presenza degli elementi espressamente indicati, e cioè una risoluzione per inadempimento in senso proprio ovvero la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno o ad altre sanzioni comparabili. Al di fuori di queste ipotesi non sarebbero ammesse interpretazioni estensive, tali da comportare l'esclusione del concorrente in mancanza dei presupposti puntualmente indicati dalla norma.

Il Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del giudice di primo grado.Il giudice d'appello ricorda in primo luogo che la lettera c- ter) del comma 5 dell'articolo rappresenta un'articolazione – introdotta in un secondo momento dal legislatore - della più ampia ipotesi del grave errore professionale. La previsione, come ricordato, qualifica l'errore professionale in termini di pregresso inadempimento che abbia comportato le conseguenze indicate – risoluzione, condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni equiparabili – e che l'ente appaltante valuti grave e sufficientemente ravvicinato nel tempo. Il Consiglio di Stato ribadisce che si tratta di una fattispecie che non determina un'esclusione automatica, ma che presuppone un'attività valutativa da parte dell'ente appaltante. Di conseguenza il semplice fatto che vi sia stata una precedente risoluzione per inadempimento – o una condanna al risarcimento del danno o altra sanzione equivalente – non è di per sè causa di esclusione dalla gara, ma lo diviene solo se l'ente appaltante, all'esito delle sue valutazioni, ritenga che tali eventi abbiano inciso sull'affidabilità del concorrente, anche tenendo conto della gravità della violazione e del tempo trascorso dalla stessa.

Ciò premesso, il giudice d'appello evidenzia come la questione da risolvere si traduca nella corretta definizione degli obblighi dichiarativi che gravano sul concorrente in sede di gara. Si tratta cioè di stabilire se tra tali obblighi dichiarativi rientri l'avvenuta risoluzione consensuale di un precedente contratto di appalto. Al riguardo viene in primo luogo ricordato che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che i richiamati obblighi dichiarativi hanno la finalità di assicurare lo svolgimento di una competizione corretta e trasparente, mettendo gli enti appaltanti nelle condizioni di conoscere tutti i fatti rilevanti riguardanti i concorrenti.

Anche in questa logica, il Consiglio di Stato ritiene che della previsione contenuta alla lettera c – ter) del comma 5 dell'articolo 80 non possa darsi una lettura formalistica, se non si vuole tradire la ratio della norma e pregiudicare il ruolo dell'ente appaltante nello svolgimento della sua attività valutativa. Di conseguenza si deve ritenere che la previsione debba essere riferita tanto all'ipotesi in cui la risoluzione di un precedente contratto di appalto sia conseguenza di un inadempimento dell'appaltatore – come espressamente previsto dalla stessa – sia anche all'ipotesi in cui tale risoluzione sia l'effetto di una libera volontà delle parti di non proseguire nell'esecuzione del contratto. L'ulteriore conseguenza è che il concorrente in sede di gara deve dichiarare anche l'intervenuta risoluzione consensuale di un precedente contratto di appalto ogniqualvolta la stessa sia dipesa da comportamenti idonei a mettere in dubbio l'integrità e affidabilità del concorrente stesso. Il che, nei fatti, significa dichiarare qualunque risoluzione intervenuta, a meno che non sia palese che la stessa è effettivamente il frutto di una libera volontà delle parti.

In questo modo il giudice amministrativo accoglie una lettura sostanzialistica della norma. Ciò anche alla luce della considerazione secondo cui la risoluzione, pur essendo formalmente consensuale in quanto frutto di un accordo tra le parti e non di un provvedimento unilaterale dell'ente appaltante, potrebbe essere conseguenza di un comportamento inadempiente dell'appaltatore, idoneo ad essere valutato sotto il profilo dell'affidabilità professionale del concorrente. Anche ai fini degli obblighi dichiarativi del concorrente, viene quindi in rilievo il fatto storico in sé – cioè la risoluzione del precedente contratto di appalto – senza che assuma rilievo dirimente la natura (consensuale o meno) dell'atto con cui tale risoluzione è intervenuta. E ciò anche al fine di consentire all'ente appaltante una compiuta valutazione su ogni episodio potenzialmente in grado di influire sull'affidabilità del concorrente. Alla luce di queste considerazioni il Consiglio di Stato conclude nel senso della legittimità nel caso di specie dell'esclusione del concorrente, che era tenuto a dichiarare l'intervenuta risoluzione del precedente contratto di appalto, ancorchè la stessa fosse stata formalmente qualificata come consensuale.

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