Appalti

Gare, se mancano i requisiti la Pa può annullare l'aggiudicazione anche dopo la firma del contratto

Il Consiglio di Stato chiarisce anche che in questo caso a decidere le controversie debba essere ancora il giudice amministrativo

di Roberto Mangani

La stazione appaltante ha il potere di agire in autotutela qualora, dopo la stipula del contratto di appalto, l'aggiudicatario risulti privo dei necessari requisiti di qualificazione. L'esercizio dei poteri di autotutela comporta l'annullamento dell'aggiudicazione e la conseguente perdita di efficacia del contratto nel frattempo stipulato. Le eventuali controversie relative al corretto esercizio del potere di autotutela appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sono questi i principi affermati dal Consiglio di Stato, Sez. V, 27 gennaio 2022, n. 590, che interviene ancora una volta sul complesso tema della diversa natura dei poteri che caratterizzano l'azione dell'ente appaltante nell'ambito dell'articolato procedimento che va dall'indizione della gara alla esecuzione delle prestazioni. Poteri che oscillano tra i provvedimenti autoritativi, propri del diritto amministrativo, e gli atti negoziali tipici del diritto privato, e che comportano anche una suddivisione di competenze tra giudice amministrativo e giudice ordinario, peraltro non sempre facilmente identificabile.

Il fatto
Un ente locale aveva indetto una gara per l'affidamento dei lavori di restauro di un palazzo. Disposta l'aggiudicazione lo stesso ente aveva proceduto alla stipula del relativo contratto di appalto con l'impresa aggiudicataria.Successivamente l'ente appaltante emanava un provvedimento di risoluzione del contratto in relazione alla mancata produzione da parte dell'impresa aggiudicataria della Soa aggiornata idonea a comprovare il perdurante possesso dei requisiti di qualificazione richiesti in sede di gara. Contro questo provvedimento l'impresa aggiudicataria e titolare del contratto di appalto proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo.

La decisione del Tar Toscana
Il Tar Toscana ha ritenuto non sussistesse nel caso di specie la giurisdizione del giudice amministrativo, dichiarando di conseguenza il ricorso inammissibile. Ciò sulla base della considerazione che il provvedimento di risoluzione del contratto di appalto attiene alla fase esecutiva dell'appalto, caratterizzata dalla sussistenza in capo all'appaltatore di diritti soggettivi, come tali tutelabili davanti al giudice ordinario. Inoltre, tale provvedimento era stato emanato in relazione alla violazione da parte dell'appaltatore di uno specifico onere su di esso incombente, consistente nella mancata presentazione dell'attestazione Soa aggiornata.

A sostegno di questa posizione il Tar Toscana ha richiamato alcuni principi affermati dalla giurisprudenza ammnistrativa e della Cassazione. Sotto il primo profilo ricorda che il Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato che non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sugli atti assunti dalla stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto, in quanto non espressione di poteri autoritativi ma emanati dall'ente appaltante nella sua veste di contraente che agisce con gli strumenti del diritto privato. A sua volta la Cassazione ha ritenuto rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla intervenuta risoluzione anticipata del contratto di appalto disposta dall'ente appaltante in relazione a inadempimenti dell'appaltatore. Ciò in quanto la risoluzione attiene alla fase esecutiva dell'appalto, e come tale incide sul diritto soggettivo dell'appaltatore alla prosecuzione del rapporto contrattuale. E ciò indipendentemente dal fatto che sotto il profilo formale la risoluzione sia disposta nella veste di provvedimento amministrativo, poiché nella sostanza non ha valenza autoritativa ma si colloca nell'ambito del rapporto paritetico tra stazione appaltante e appaltatore.

La sentenza di primo grado è stata impugnata dall'originario ricorrente davanti al Consiglio di Stato. L'unico motivo di ricorso si è incentrato sul ritenuto errore del giudice di primo grado nel mancato riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di specie. A sostegno di tale motivo il ricorrente ha sviluppato una serie di argomenti.

In primo luogo il contratto era stato sottoscritto ma non vi era stata data ancora esecuzione, cosicché non è corretto sostenere che la controversia riguardasse tipicamente la fase esecutiva. In secondo luogo il così detto provvedimento di risoluzione non può essere considerato espressione dell'autonomia negoziale, essendo piuttosto esercizio del potere pubblicistico che spetta all'ente appaltante ai fini della verifica della sussistenza continuativa dei requisiti di qualificazione. Come conseguenza di queste assunzioni, il provvedimento in esame, in quanto di natura autoritativa e non negoziale, viene a incidere su posizioni di interesse legittimo dell'appaltatore, la cui eventuale lesione deve essere valutata dal giudice amministrativo.

Inoltre, a rafforzamento della sua tesi, l'appellante sottolinea che la risoluzione contrattuale non è stata disposta a causa di ritenute inadempienze alle obbligazioni contrattuali, ciò atti o comportamenti tipici della fase di esecuzione del contratto. Al contrario, la risoluzione è conseguita alla mancata dimostrazione del perdurante possesso dei requisiti di qualificazione da parte dell'aggiudicatario, e rientra quindi nei casi previsti dall'articolo 108 del D.lgs. 50. Nonostante tale norma parli genericamente per tutte le ipotesi dalla stessa disciplinate di risoluzione del contratto, nei casi come quello in considerazione si tratterebbe in realtà non di un negozio risolutivo di natura privatistica, quanto piuttosto di un provvedimento assunto dall'ente appaltante nell'esecuzione dei propri poteri autoritativi di autotutela, incidendo in primis sull'aggiudicazione e solo in via derivata sul contratto nel frattempo stipulato.

La posizione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso riformando la sentenza di primo grado. In via preliminare il Consiglio di Stato ha evidenziato che non può essere presa in considerazione ai fini della soluzione del caso di specie la giurisprudenza - richiamata dal giudice di primo grado - che rimette al giudice ordinario la competenza a decidere sulle controversie relative alla risoluzione anticipata del contratto disposta dall'ente appaltante a fronte dell'inadempimento di obbligazioni proprie dell'appaltatore.

Tali controversie infatti attengono all'esecuzione del contratto in senso proprio, riguardando cioè tipiche obbligazioni contrattuali rispetto alle quali le parti – ente appaltante e appaltatore – si trovano in una posizione paritaria. L'atto di risoluzione adottato dall'ente appaltante in questo ambito non è espressione di poteri autoritativi, bensì costituisce uno dei rimedi contrattuali cui l'ente appaltante può ricorrere a fronte dell'inadempimento dell'appaltatore a proprie obbligazioni, venendo quindi a incidere sui diritti soggettivi di quest'ultimo. La fattispecie in esame è del tutto diversa. In questo caso l'ente appaltante ha riscontrato, nell'esercizio dei poteri di autotutela ad esso riconosciuti, una causa di illegittimità dell'aggiudicazione in relazione alla carenza della continuità dei requisiti di qualificazione in capo all'aggiudicatario. Di conseguenza l'ente appaltante – al di là della terminologia utilizzata – ha in realtà adottato un provvedimento di annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione cui è conseguito, come effetto ineludibile, lo scioglimento del vincolo contrattuale.

In questi termini, si tratta di un provvedimento di natura autoritativa cui corrisponde una posizione di interesse legittimo dell'appaltatore. Non rileva in senso contrario l'intervenuta stipula del contratto, che non modifica la natura del potere esercitato, la cui finalità è quella di matrice pubblicistica diretta ad assicurare che l'esecutore delle prestazioni sia in possesso dei prescritti requisiti di qualificazione. Detto altrimenti, la risoluzione del contratto non è conseguenza di vizi propri dello stesso né tanto meno dell'inadempimento di obbligazioni da parte dell'appaltatore, bensì dell'effetto indotto della sopravvenuta illegittimità dell'aggiudicazione per la mancata sussistenza continuativa dei requisiti di qualificazione.

La conseguenza ultima ai fini dell'individuazione del giudice competente a decidere sulle eventuali controversie sull'atto emanato è che, trattandosi appunto dell'esercizio di un potere autoritativo che incide sugli interessi legittimi dell'appaltatore, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.

I poteri della stazione appaltante tra diritto amministrativo e diritto privato
La pronuncia in commento delinea il confine tra l'azione amministrativa e l'azione privatistica della stazione appaltante privilegiando, in maniera corretta, il dato sostanziale rispetto a quello formale.Ciò che rileva non è il fatto formale che sia già stato stipulato il contratto, ma il fatto sostanziale della finalità cui il potere esercitato intende rispondere. Se il contratto di appalto è stato stipulato ma la stazione appaltante lo risolve non per inadempimenti dell'appaltatore (vizi dell'esecuzione) ma per la mancanza originaria o il venir meno dei requisiti di qualificazione (vizi dell'aggiudicazione), viene in rilievo l'esercizio di poteri pubblicistici e non uno strumento di tutela privatistico. Così come, al contrario, se vi è stata consegna dei lavori in via d'urgenza in attesa del contratto ancora da stipulare, eventuali inadempimenti dell'appaltatore cui consegua un provvedimento di risoluzione contrattuale rientrano nell'ambito dei rapporti paritetici (e dei conseguenti poteri privatistici in capo all'ente appaltante).

Dal punto di vista della ricostruzione giuridica l'indicazione appare corretta. Occorre tuttavia considerare gli effetti che la stessa produce ai fini dell'individuazione del giudice competente a conoscere delle relative controversie. Ai fini di definire se la giurisdizione sia del giudice amministrativo o di quello ordinario le parti coinvolte sono infatti costrette a operare un'analisi non sempre agevole in merito alla natura sostanziale del potere esercitato dall'ente appaltante. E se lo stesso giudice amministrativo offre interpretazioni non coincidenti – come nel caso di specie in cui il Consiglio di Stato si è espresso in termini opposti rispetto al giudice di primo grado – è intuibile la difficoltà che può avere l'operatore economico o la singola amministrazione. Che prima ancora di argomentare le loro tesi difensive, dovranno cercare di farlo davanti al giudice che ha effettivamente competenza a pronunciarsi.

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