Il CommentoAmministratori

Riforma degli enti locali: vita più facile per i sindaci e qualche impegno in più ai dirigenti

di Ettore Jorio

La semplificazione su carta si trasformerà in una maggiore confusione tra l'esercizio delle funzioni fondamentali proprie degli enti locali. É quanto è legittimo pensare dalla notizie che si apprendono via via in tema di riforma di Comuni, Province e Città Metropolitane, e quindi di riscrittura del Tuel (si veda NT+ Enti locali & edilizia del 15 ottobre). Il maggiore gap è rappresentato dalla mancata abrogazione delle Province, che non si ha il coraggio di cancellare dall'ordinamento nonostante la loro caratteristica di generare spese ingenti e apparati inutili a fronte di un superfluo assoluto, fatto di compiti altrove attribuibili.

Area vasta, ma dov'è e cos'è?
Piuttosto, occorrerebbe meglio definire le competenze affidate alle 14 Città metropolitane, concepibili nella loro primitiva individuata decina, divenute poi un surrogato bifronte, del quale non si comprende neppure di cosa (mezzo comune e mezza provincia) con dei compiti che si sovrappongono illogicamente. Invece di pensare, e bene, nel senso di definire l'area vasta - vero strumento di novità della Delrio (legge 56/2014), ma lasciata nella nebbia della non definizione - individuandone ottimali procedure e criteri istitutivi e competenze ben cristallizzate nell'esercizio della legislazione esclusiva statale (articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione), si riforma senza il necessario decisionismo indispensabile per l'ordinamento territoriale. Ciò allo scopo di non scontentare alcuno e di lasciare poltrone disponibili sulle quali negoziare così come si fa tra collezionisti di francobolli.

Il Comune, l'ideale canna da pesca
Il sistema degli enti locali intanto è valido in quanto costituisce – per usare un linguaggio tipico di Deng Xiaoping - il finale della canna da pesca che riesce a portare da mangiare (senza l'amo) al più piccolo pesce che nuota in periferia, dando così pratica attuazione a quella sussidiarietà istituzionale o verticale (come dir si voglia) senza la quale le distanze tra ciò che si decide e ciò che viene reso esigibile alla collettività deve fare i conti con lontananze siderali.

Le fusioni, spesso fonte di guai ulteriori
Nei tredici articoli, che concretizzerebbero il nuovo Testo unico degli enti locali, è riservato un importante spazio alla delega attribuita al Governo di (ri)disciplinare le fusioni tra Comuni, spesso causa di ulteriori problemi piuttosto che di soluzioni gratificanti per i cittadini e per i bilanci di frequente in netto peggioramento, a causa di errate valutazioni di esclusioni di responsabilità degli amministratori dei Comuni fusi. Ciò rappresenta il modo - che fa da pendant con la ratio di guadagnare sul piano di gestione sistemica attraverso l'incentivazione dell'area vasta – per favorire una sorta di «spending review» istituzionale, generativa di una sensibile economia di scala nella conduzione della res pubblica locale e di uno strumento che, nel contempo, qualifichi il suo prodotto amministrativo. Il tutto tradotto in una maggiore e migliore resa dei servizi pubblici a maggiore istanza e delle prestazioni essenziali, costituzionalmente previste.

Il sindaco esentato da responsabilità non politiche
Nel progetto di revisione diretta del Tuel è poi prevista una sorta di deresponsabilizzazione dei sindaci, quanto a quelle riferite alla gestione dell'ente, attribuite tutte esclusivamente in capo ai dirigenti. Si tratta di una profonda riscrittura dell'articolo 50 del Dlgs 267/2000 e, con essa, di una diretta riconduzione alla dirigenza, di diretta nomina dei primi cittadini, di tutta la responsabilità gestoria. Un'opzione, questa, che fa pari con quanto sancito nel testo unico del pubblico impiego (Dlgs 165/2001) che assegna all'organo elettivo solo compiti politici, ovverosia di definizione degli obiettivi e dei programmi nonché dei controlli sui risultati burocratici, e ai dirigenti nominati il complesso dell'attività amministrativa, che impegna l'ente verso l'esterno, e di gestoria e di controllo, comportante poteri di spesa, di organizzazione di tutte le risorse nonché di verifica dell'operato generale.

Più difficile fare il dirigente
A ben vedere, sembra essere in via d'arrivo un provvedimento riformatore per molti versi rivoluzionario che, omogeneizzando il sistema locale alla disciplina del pubblico impiego in generale, renderà - da una parte - una vita più facile ai sindaci e – dall'altra – comporterà ai dirigenti qualche impegno in più, primo fra tutti quello di opporre all'organo politico tanti no nel quotidiano. Questi ultimi dovranno, infatti, e con le attuali casse semi vuote di tanti Comuni, assumere un compito difficile, quasi impossibile. Di provvedere all'essenziale stando ben lontani dal «superfluo», quello che ha condotto molti enti locali ad esso avvezzi al dissesto e al predissesto.

Occorre una soluzione alle crisi finanziarie
Quanto ai dissesti e ai predissesti, a fronte della necessità di dovere riscrivere la materia al fine di non obbligare i rispettivi cittadini a un sensibile ridimensionamento dei servizi/prestazioni sociali, il Ddl con la delega al Governo di riscrivere il Tuel si limita (articolo 6) a prescrizioni riferite a controlli infra-procedurali e alla gestione economico-finanziaria post approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato. Ben poca cosa, rispetto all'esigenza di rivedere il tutto, sino a pervenire alla definizione di una procedura simil concorsuale, così come prevista a salvaguardia del fallimento delle aziende. Ciò in quanto, diversamente da come accade negli Usa, le istituzioni pubbliche non possono essere assoggettate allo stesso.
Le frequenti condizioni di rovina dei bilanci di numerosi comuni e province, alcuni dei quali soggetti più volte a dissesti, esigono una procedura che consenta il loro ritorno in bonis reale, da testimoniare con la formazione di un netto patrimoniale accettabile, funzionale a una buona ripartenza e a recepire il cambio della metodologia finanziaria fondata sul fabbisogno standard perequato, con indici di deprivazione socio-economica, magari tenendo anche conto del gap vissuto.