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Appalti, nuovo codice a rischio flop sulla semplificazione

Il nuovo testo approda in Parlamento con un numero di articoli superiore rispetto all'attuale. Pericolo incompiute su digitalizzazione, qualificazione Pa e rating d'impresa. Buco sulla progettazione

di Mauro Salerno

Se non lo sono già, rischiano di raffreddarsi in fretta gli entusiasmi seguiti alla notizia dell'adozione del nuovo codice appalti da parte del governo. Sul testo, che ha preso una veste completamente ufficiale da quando è stato inviato all'esame del Parlamento, è già partita la caccia all'errore. Ma la domanda che tutti si fanno ora riguarda quanto il nuovo testo sarà davvero capace di semplificare da subito la giungla di norme, formalismi e ricorsi con cui devono fare i conti quotidianamente le imprese che vivono di gare e cantieri pubblici. Le aspettative erano alte. Soprattutto dopo che il neo-ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, prendendo con una certa diffidenza in mano il testo messo a punto dal Consiglio di Stato su incarico del precedente governo Draghi, aveva annunciato di volerlo quanto meno dimezzare. Allo scopo è stata nominata anche una commissione ad hoc.

Il risultato non è stato evidentemente quello sperato. Anche perché, secondo alcuni, ai vertici del governo circolavano opinioni diverse su quale strumento usare, tra mannaia e fioretto, per intervenire sul testo elaborato da Palazzo Spada. Alla fine gli articoli (229) sono rimasti più o meno gli stessi delle prime bozze (230), addirittura in aumento rispetto ai 220 del codice attuale (il Dlgs 50/2016), senza contare gli allegati (35 contro i 25 del vecchio testo). Si dirà che la semplificazione non si calcola a peso. Verissimo. Ma così perdono di valore anche le valutazioni di chi ha fatto notare che rispetto al codice del 2016, nonostante l'aumento degli articoli, sarebbe stato espunto circa il 30% delle parole.

È innegabile che uno sforzo di sburocratizzazione delle procedure sia stato compiuto. Soprattutto sul fronte delle piccole gare, dove peraltro è più o meno bastato mettere a regime gli snellimenti introdotti con i decreti varati in tempo di pandemia (Dl 76/2020 e Dl 77/2021). La scelta di rendere ordinarie le drastiche scorciatoie normative varate in tempo di emergenza la dice lunga sulle difficoltà di trovare un sano equilibro tra efficienza e trasparenza delle gare di calibro medio-piccolo. Il rischio che l'effetto sia anche quello di un ampliamento della zona grigia dei micro-appalti c'è ed è inutile negarlo.

Messi da parte i micro-appalti, persistono pesanti dubbi sul potenziale di semplificazione sulle grandi opere e il resto dei contratti disciplinati dal testo, su cui ora cominceranno a piovere i commenti degli addetti ai lavori con un ciclo di audizioni in Parlamento. Non sarebbe un caso, dunque, il moltiplicarsi delle voci secondo cui il governo sarebbe intenzionato a spostare almeno dal 31 marzo a fine anno la data di entrata in vigore del provvedimento, proprio per non impattare negativamente sul cronoprogramma dei maxi-investimenti del Pnrr.

Digitalizzazione appesa alla comunicazione tra banche dati
È dal focus sulla digitalizzazione che arriva la spinta più evidente verso l'alleggerimento dei carichi che ora affaticano imprese e stazioni appaltanti. Il codice dedica diversi passaggi a questo tema decisivo, con il rafforzamento della banca dati dell'Anac, la messa a regime del fascicolo virtuale degli operatori economici e anche con l'introduzione delle cauzioni «native digitali». È uno sforzo più che apprezzabile, ma è chiaro che molto dipenderà dalla caduta degli steccati che oggi tengono separate e inaccessibili le informazioni conservate nelle varie banche dati. Se i cancelli non si schiuderanno tutto rimarrà com'è. Ricordate l'Avcpass? Anche allora si magnificava l'avvento del controllo dei requisiti con un clic. Sappiamo come è finita. Certo: indietro non si torna. La strada è tracciata. Il mercato chiede che si applichi la tecnologia disponibile. Prima o poi ci si arriverà.

Rischio "buco" sulla progettazione
Un altro passaggio-chiave per accelerare gli investimenti è l'accorpamento-riduzione dei passaggi progettuali. Qui uno sfoltimento c'è stato di sicuro con il passaggio da tre a due livelli di progettazione e la liberalizzazione dell'appalto integrato. Ma per gli operatori quest'opera di disboscamento rischia di risultare eccessiva. Dunque controproducente. In particolare viene fatto notare che dal testo sono sparite tutte le regole di gestione delle gare di progettazione. Un fatto che rischia di mettere in imbarazzo le stazioni appaltanti. Non è neppure chiaro se le linee guida n. 1 dell'Anac che prima facevano da bussola in questo settore potranno essere usate come utile riferimento oppure no. Dimezzati, nel testo, anche gli articoli dedicati agli appalti nel settore dei beni culturali.

Pubblicità: addio bandi sui giornali
Anche sulle regole della pubblicità si è cercato di fare opera di risparmio. Non si sa se la trasparenza ne guadagnerà o meno. Ma il codice cancella gli obblighi di pubblicazione dei bandi sulla carta, rendendo protagonista la piattaforma dell'Anac, che diventerà punto di riferimento anche per i termini legali legati alla pubblicazione degli avvisi. Fino ad allora,(serve un provvedimento ad hoc) restano almeno gli obblighi di pubblicazione in Gazzetta.

Qualificazione e rating di impresa, tra grandi novità e complicati revival
Nel nuovo codice non mancano novità importanti. Alcune talmente ambiziose da renderne complicata l'applicazione, come peraltro è già avvenuto con la riforma del 2016, rimasta in larga parte incompiuta. Da questo punto di vista, hanno il sapore dei grandi ritorni la qualificazione delle stazioni appaltanti e il ripescaggio del rating di impresa, anche se sotto il nuovo nome di «Reputazione dell'impresa», depurato dagli anglicismi. Non resta che augurarsi che questa volta le cose vadano meglio che in passato. Anche se è inutile dissimulare che un certo scetticismo esiste e circola.

Sfidante e completamente nuova è la scelta di estendere il sistema di qualificazione, riservato ai lavori, anche a forniture e servizi. Un ampliamento invocato da anni dalle società di attestazione (Soa) che però potrebbero loro stesse trovarsi di fronte a cambiamenti radicali, visto che il codice immagina la costruzione di un sistema basato su «nuove Soa».

Novità più immediatamente operative saranno il rientro in pianta stabile della revisione prezzi; un deciso sforzo di razionalizzazione delle cause di esclusione (con il vecchio e bersagliato articolo 80 distribuito in cinque articoli distinti); la legittimazione del subappalto a cascata, così come richiesto dalla Ue; l'introduzione della possibilità di correggere le offerte in corsa al di là del vecchio soccorso istruttorio. L'Anac avrà più poteri di vigilanza (con nuove sanzioni) e un ruolo più centrale nel campo della digitalizzazione, ma dovrà dire addio alla possibilità di guidare il mercato con le linee guida.

Gare senza anomalia predeterminata
Entrando più nel dettaglio delle gare, qualche difficoltà potrebbe crearla anche la scelta di fare a meno di una soglia di anomalia predeterminata. Dovranno essere le stazioni appaltanti a deciderla di volta in volta. I rischi sono due. Da una parte l'eccesso di discrezionalità, dall'altro l'immobilismo rispetto allo stato attuale. È possibile infatti che per evitare complicazioni, le Pa finiscano per copiare e incollare i collaudati meccanismi usati finora, lasciando alla fine tutto com'è.

Le immancabili norme-manifesto
Il nuovo codice non coglie l'occasione di liberarsi delle vecchie norme-manifesto. Ce ne sono diverse, compresa la novità che prevede la possibilità di valutazioni negative del Rup che ritardino l'emissione dei certificati di pagamento, ai fini della liquidazione degli incentivi. Ma due intramontabili classici sono: il vincolo di suddivisione in lotti e l'obbligo di firmare i contratti entro un tot di giorni (il nuovo codice li dimezza addirittura a 30 contro gli attuali 60) dall'aggiudicazione. Norme giuste e ambiziose, ma probabilmente destinate a essere smentite dal mercato.