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Melillo: mafia e Pa, poca prevenzione - Stop abuso d’uffico vulnus a obblighi Ue

Il procuratore antimafia sulle infiltrazioni dei clan: «assenza di filtri e controlli»

di Ivan Cimmarusti e Marco Rogari

La mancanza di controlli e di prevenzione per arginare le infiltrazioni mafiose nella Pa e i rischi collegati alla riforma del reato di abuso d'ufficio. È un intervento ad ampio raggio quello del procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, nel corso di un’audizione alla commissione Giustizia della Camera. «Credo sia doveroso richiamare l’attenzione del dibattito pubblico sullo stato di profondo diffuso condizionamento criminale dei comportanti della pubblica amministrazione», dice a chiare lettere Melillo. Che aggiunge: «basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in 30 anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione». Ma il procuratore antimafia mette in guardia di fatto anche dalle iniziative che puntano a sterilizzare l’abuso d’ufficio. «II venir meno della possibilità di sanzionare condotte abusive rappresenterebbe un vulnus» agli obblighi internazionali, e in particolari europei, «sottoscritti dall’Italia in tema di corruzione con la convenzione di Strasburgo», dice Melillo.

Il procuratore sottolinea come, con la tendenza sempre più accentuata dei clan ad entrare in contatto con la Pa, stia esponendo l’Italia «al rischio di apparire fonte di indebolimento del sistema di incriminazione», proprio mentre il Paese con il Pnrr «si appresta a utilizzare ingenti risorse». Secondo Melillo, «i rischi di espansione di una discrezionalità giudiziaria rispetto all’attività amministrativa dopo la riforma del 2020 sono confinati in ambiti assolutamente marginali. E questo - afferma - riguarda non solo l’abuso di ufficio ma anche il traffico di influenze, i cui termini sono stati ricondotti nelle salde mani dei principi costituzionali di tassatività delle previsioni». A questo proposto Melillo snocciola alcuni dati: l’85% delle denunce per abuso d’ufficio viene archiviato dai pm. E sostiene che anche i giudici non hanno affatto la manica larga: «le condanne nel 2021 sono solo 18. Anche le denunce sono significativamente diminuite tra il 2020 e il 2021» ha aggiunto il procuratore, facendo notare che gli amministratori che lamentano «la paura della firma» sono quelli che governano.

Il problema, come rilevano i pubblici ministeri delle principali Procure, è che l’abuso d’ufficio è tra gli illeciti più difficili da dimostrare in un processo. Eppure, stando ai dati di un dossier 2022 del Servizio analisi criminale del ministero dell’Interno, questo reato è l’unico - tra quelli contro la pubblica amministrazione – ad aver subito un aumento, anche se lieve. Tra il 2004 e il 2021 si calcola un +0,9%, rispetto al -57,2% della concussione, al -44% della corruzione e al -12% del peculato. Si consideri, inoltre, che la maggiore diffusione dell’abuso d’ufficio è stata registrata soprattutto nelle Pa delle regioni del Centro-Sud, con particolare riguardato a quelle con più alta densità di presenza mafiosa. Dati che pongono l’accento sul rischio permeabilità delle pubbliche amministrazioni, tra l’altro maglia nera tra i soggetti obbligati (Dlgs 231/2007) nell’adempimento degli obblighi antiriciclaggio. L’aspetto non è di poco conto, soprattutto in questo momento storico, con gli appalti miliardari del Pnrr. Secondo l’Uif di Bankitalia, il controllo sulle aziende che partecipano alle commesse risulta ancora molto scarno: su complessive 155.426 Sos del 2022, le Pa italiane ne hanno fatte solo 179.

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