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Porti: «Serve un ministero del Mare per fermare i burocrati dei moli» - Intervista a Pasqualino Monti

Smantellare la burocrazia che assilla i porti italiani, puntando sulla semplificazione e riducendo al minimo gli interlocutori da coinvolgere nei processi decisionali delle Autorità di sistema portuale. In breve: arrivare alla creazione di un ministero del Mare al quale far riferimento per tutte le questioni relative al cluster marittimo e agli scali. A sottolineare la necessità di intraprendere quel percorso è il presidente dell’Adsp del Mare di Sicilia occidentale, Pasqualino Monti, già alla guida della port Authority di Civitavecchia e di Assoporti. Si tratta di un tema in linea con il disegno tracciato, nelle scorse settimane, dal leader di Confindustria, Vincenzo Boccia, il quale ha espresso l’auspicio che il prossimo Governo «voglia istituire un ministero del Mare».

Presidente Monti, nonostante la riforma della governance dei porti, c’è ancora qualcosa che non funziona…

Sì, ma è troppo facile raccontare le cose che non vanno: bisogna capire come azionare quei meccanismi che le fanno andare bene. L’Italia in passato, ha perso il ministero della marina mercantile (nel 1993, ndr), che comunque svolgeva un’azione diversa da quella che occorrerebbe ora. Abbiamo un’industria del mare che sviluppa 42 miliardi di Pil e conta circa 800mila addetti. E a governala abbiamo una serie di ministeri, fra i quali Infrastrutture e dei trasporti, Funzione pubblica e Ambiente, che, per riuscire a essere coordinati rispetto alle azioni che le Adsp vogliono portare avanti, impiegano un tempo quattro volte superiore a quello che ci vorrebbe se l’interlocutore fosse unico.

Risultato?

Sentirsi dire, come è capitato a me, da importanti imprenditori italiani, che ancora conviene sdoganare le merci a Rotterdam anziché a Genova o Trieste. Oppure trovarsi a trattare, e anche questo mi è capitato, con i tre più grandi armatori del settore crocieristico, per organizzare un progetto di ampio respiro nella Sicilia occidentale, e dover dire loro: «abbiamo un cavillo burocratico da superare». Così se uno deve investire ci pensa 10 volte.

Quale sarebbe la soluzione?

Abbiamo bisogno semplicità: di avere un unico ministero, che sia il ministero del Mare e che abbia al suo interno tutte le competenze necessarie per far funzionare il settore, dalla prima all’ultima: quelle di valutazione d’impatto sull’ambiente e quelle relative alle infrastrutture da costruire. Deve anche avere, dal ministero delle Finanze, il budget necessario a realizzare le opere necessarie a far cpmpiere il salto di qualità al nostro Paese. Ma soprattutto ci vuole un ministero che tracci il piano industriale del sistema Paese.

Dunque è in linea col presidente di Confindustria?

Sono molto in linea con Vincenzo Boccia: dobbiamo entrare, come dice lui , in un meccanismo di confronto con un’ unica realtà. Non si può continuare a procedere con un ministero che un giorno ti dice una cosa mentre un altro ministero, il giorno dopo, afferma l’esatto contrario.

La sua recente decisione di lasciare Assoporti si inserisce in questo discorso?

Sì. Assoporti oggi guarda agli equilibri di potere interni e non a quanto accade fuori. Mentre dovrebbe avere una presenza forte a Bruxelles e sul territorio nazionale. Anche per correggere alcuni punti della riforma dei porti.

Quali?

Gliene dico uno su tutti: la stortura di aver fatto cadere le Adsp nella riforma della pubblica amministrazione; un calderone dove si esprime il peggior tipo di burocrazia. E che costringe le nostre Authority a sottostare a regolamenti che non hanno senso per chi, come fine istituzionale, ha quello di promuovere i porti sul mercato.

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