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La delega appalti è legge: ora sei mesi per la riforma del codice, Consiglio di Stato già al lavoro

Ok definitivo al testo con 31 criteri attuativi tra cui molti nodi irrisolti ereditati dalla riforma (fallita) del 2016

di Mauro Salerno

La delega appalti è legge. Il testo con i 31 criteri attuativi che dovranno guidare il governo nel disegnare concretamente la riforma del codice in vigore da soli sei anni (il Dlgs 50 in vigore dal 18 aprile 2016) è stato approvato definitivamente dall'Aula del Senato.

Chi si aspettava grandi novità dal testo-guida rischia di rimanere deluso. Al di là dei commenti di rito, la legge appena approvata dal Parlamento (come abbiamo scritto qui) ripesca molti dei traguardi falliti nel 2016 (qui la tabella punto per punto) . E allora si torna a parlare, come se fosse la prima volta, di gold plating, di qualificazione delle stazioni appaltanti, di freno ai ricorsi, di revisione del sistema di qualificazione delle imprese, di eliminazione del massimo ribasso, di semplificazione a tutto spiano.

Per sapere se sarà la volta buona saranno cruciali i prossimi sei mesi. È questo il tempo che la legge assegna al governo per esercitare la delega. Mentre il Pnrr prevede che la riforma vera e propria sia completamente operativa e attuata entro giugno 2023. Entro i successivi due anni sarà possibile intervenire con decreti correttivi. Un'opzione presente anche nelle precedenti stagioni di riforma e che i governi dell'epoca non si sono mai lasciati sfuggire, anche senza attendere la completa entrata in vigore delle novità normative, contribuendo a frammentare e stratificare un quadro normativo che non ha mai brillato per chiarezza e semplicità di applicazione.

Una delle maggiori novità di questo ennesimo tentativo di riformare un sistema, che da almeno un anno e per tutta la prima fase di aggiudicazione degli investimenti del Pnrr si muove in ampiamente in deroga alla disciplina di base, è il coinvolgimento in prima persona del Consiglio di Stato. I giudici amministrativi questa volta non avranno solo il compito di esprimere un parere sul lavoro svolto da una commissione ministeriale (come accaduto in passato) ma sono chiamati a scrivere di pugno proprio la bozza del nuovo codice.

Secondo quanto ha già fatto sapere il presidente Franco Frattini il Consiglio di Stato è già al lavoro per mettere a punto lo schema di provvedimento. «Un esercizio complesso e non brevissimo che metterà alla prova questo gruppo di lavoro composto non solo dai consiglieri di Stato e dai colleghi del Tar, ma anche da estranei al plesso della giustizia amministrativa secondo quanto previsto dal Presidente del Consiglio Draghi», ha detto Frattini. Particolare attenzione viene attribuita all'obiettivo di eliminare il «gold plating», ovvero tutte le norme ridondanti rispetto alle direttive europee. Tanto che Frattini ha già fatto sapere che la commissione messa al lavoro sul testo sta già creando «una tabella di corrispondenza tra le norme della direttiva e quelle che dovremo tradurre in proposta di decreto».

L'ultima volta lo sforzo di "semplificazione" è finito annegato in un decreto legislativo monstre, composto da 220 articoli, 15 allegati e una lunga coda di linee guida affidate all'Anac di Raffaele Cantone, senza contare l'altrettanto lunga scia di traguardi annunciati ma rimasti inattuati (trasparenza senza deroghe, qualificazione stazioni appaltanti, rating di impresa, coinvolgimento delle Pmi, gare veloci, stop ai ricorsi: solo per citare qualche esempio random). A sei anni di distanza ambizioni e annunci sono rimasti pressoché immutati. Speriamo non lo siano anche i risultati.

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