Fisco e contabilità

Pnrr: i progetti dei Comuni sono 69.712, il 37,7% a Sud

In rapporto agli abitanti, primato di interventi in Sardegna, Calabria e Abruzzo. Sicilia e Lazio ultime in graduatoria. Nel Dl in arrivo più assunzioni ma il nodo sono i fondi

di Gianni Trovati

Sono 69.712 i progetti comunali già inseriti nel «Regis», il cervellone elettronico della Ragioneria generale dello Stato che gestisce le infinite articolazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il loro costo ammesso si attesta 29,5 miliardi di euro, in pratica i tre quarti dei circa 40 miliardi complessivi cumulati dagli interventi che devono passare sul tavolo dei sindaci.

Il censimento effettuato dal Servizio centrale del Pnrr mostra in modo efficace l’ampiezza dell’impegno che investe le amministrazioni locali nella realizzazione del Piano. I sindaci sono coinvolti in 41 filoni di investimento, articolati in 9 delle 16 componenti del Pnrr e accasati in 4 delle 6 missioni (sono escluse solo le infrastrutture per la mobilità e la salute, che intrecciano competenze nazionali e regionali). Ma i numeri offrono anche indicazioni importanti sulla geografia del Pnrr dei Comuni.

A primeggiare per numero di progetti è la Lombardia, con 11.728 interventi. Ma il dato si spiega prima di tutto con le dimensioni della prima regione italiana. Il rapporto fra numero di progetti e popolazione conferma invece l’orientamento meridionale di molti filoni del Piano, con qualche sorpresa.

Il Sud, dove risiede il 33,8% degli italiani, abbraccia il 37,7% degli interventi comunali finanziati dal Pnrr. Anche il Nord registra però una quota di progetti (48,3%) leggermente superiore al peso della sua popolazione (46,4%); in questa forbice sembrano restare schiacciate le regioni del Centro, che ospitano il 19,8% dei residenti ma pesano solo per il 14% sul totale dei progetti. Ma c’è di più.

Tolte Molise, Valle d’Aosta e Basilicata, fuori scala per le loro piccole dimensioni, il rapporto progetti/popolazione vede in testa Sardegna, Calabria e Abruzzo, con un intervento ogni 373-428 abitanti. Subito dopo si incontra in graduatoria la prima regione settentrionale, il Piemonte, con un progetto ogni 485 cittadini, mentre la Lombardia si ferma molto più in basso con un rapporto quasi doppio (843). Ma le sorprese maggiori arrivano in fondo, con il Lazio (un intervento ogni 1.505 residenti) e soprattutto con la Sicilia che chiude la classifica con un intervento ogni 1.647 abitanti. Certo, un esame completo deve tener conto anche del valore unitario dei singoli investimenti. Ma già queste cifre sembrano confermare che in alcune aree del Paese la priorità assegnata al Sud dall’obiettivo della coesione territoriale si scontra con forti deficit progettuali. I problemi, insomma, iniziano già prima della fase cruciale della realizzazione, che domina le preoccupazioni di governo ed enti locali.

Il tema ha occupato anche la giornata finale dell’11esima conferenza nazionale Ifel che si è chiusa ieri a Roma. E che ha messo sotto esame anche le novità in arrivo con il nuovo decreto sul Pnrr atteso all’inizio di febbraio in consiglio dei ministri.

Sulla nuova spinta per il «rafforzamento della capacità amministrativa degli enti locali», articolo che apre la bozza circolata fin qui del nuovo decreto, la misura più importante (anticipata sul Sole 24 Ore di ieri) è rappresentata dall’esclusione integrale dei costi del rinnovo contrattuale dai calcoli sul rapporto fra entrate stabili e spese di personale che misurano le possibilità assunzionali di ogni ente. La novità, se troverà conferma nella versione finale del decreto superando le obiezioni da sempre avanzate dalla Ragioneria generale, archivierebbe di fatto il principio della «sostenibilità finanziaria» delle assunzioni aprendo però spazi aggiuntivi al reclutamento. Ma il rischio è che ancora una volta l’effetto sia più sensibile a Nord, dove i conti locali sono mediamente più in salute, mentre i buchi negli organici diventano voragini a Sud. Tra gli interventi in cantiere c’è anche l’allargamento della possibilità di attribuire incarichi dirigenziali, che per la bozza potrebbero salire fino al 50% dei posti in dotazione organica superando il limite, già ampio, del 30% fissato oggi.

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