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Pnrr, fino a 10mila assunzioni nei Comuni ma c'è il nodo dei bilanci

Gli effetti del decreto in arrivo dipendono dai conti di ogni ente: più premi in busta solo se il rendiconto non chiude in deficit. Quasi raddoppiati gli spazi per i dirigenti a termine

di Gianni Trovati

«Anche». Basta una congiunzione, inserita all’articolo 8 (comma 7) del decreto Pnrr ter atteso domani in consiglio dei ministri, per allargare drasticamente le possibilità di assunzioni in Regioni ed enti locali. Ma solo in quelli che possono permetterselo: perché anche questi ingressi extra sono a carico dei bilanci delle singole amministrazioni.

Con la nuova norma, la regola che guida i tetti finanziari per le assunzioni esclude dai calcoli la spesa prodotta dai rinnovi contrattuali «anche» (e quindi non più «solo») riferita agli arretrati. La conseguenza è che le amministrazioni potrebbero spendere circa 900 milioni annui in più (tanto costa a regime il contratto 2019/21) per le assunzioni: dal momento che un neoassunto in un ente locale con qualifica media costa intorno ai 30mila euro annui, si tratterebbe di quasi 30mila assunzioni. Attenzione, però.

Perché il passaggio dalla teoria alla pratica è sempre complesso. Perché in vigore c’è ancora una vecchia norma che vieta agli enti locali, in modo ormai piuttosto scoordinato, di superare la spesa media di personale registrata nel 2011-13. E soprattutto una fetta non irrilevante di enti non è in condizione di sfruttare tutti i margini di aumento di questa spesa corrente fissa tenendo in piedi i conti. Morale: si può stimare che la nuova regola liberi fino a 10mila nuovi ingressi, in larga parte nei Comuni. A chiedere da tempo questo intervento è stata infatti soprattutto l’Anci, per rispondere problemi mostrati in questi mesi dal «rafforzamento» nelle amministrazioni locali che negli ultimi 15 anni hanno perso quasi il 30% del personale.

Gli effetti saranno diversificati sul territorio. E lo stesso accade alle altre novità portate dalla bozza del decreto: il quasi raddoppio della possibilità di attribuire incarichi dirigenziali a tempo (fino al 50%, e non più al 30%, della dotazione organica dirigenziale) e il via libera agli aumenti dei fondi per i premi in busta paga. In questo caso, anzi, la norma esclude espressamente gli enti che non rispettano il pareggio di bilancio e non approvano in tempo i loro conti, tagliando fuori quindi circa 1.300 Comuni quasi tutti concentrati a Sud.

Dal potenziamento della Pa locale passa una quota importante delle possibilità di dare davvero all’attuazione del Pnrr quella spinta che il decreto tenta anche con il cambio radicale della governance (Nt+ Enti locali & edilizia di ieri) su cui si concentrano le attenzioni della politica. La nuova struttura di controllo è verticalizzata su Palazzo Chigi, dove la nuova Struttura di missione sarà il centro di comando operativo, direttamente sotto la guida della premier Meloni e del ministro per il Pnrr Fitto, mentre al Mef cresce nella forma di Ispettorato generale articolato in 8 uffici di livello dirigenziale e chiamato a monitorare e rendicontare l’utilizzo delle risorse Pnrr ma anche degli altri fondi Ue.

L’accelerazione passa anche dal taglio dei tempi di attuazione dei poteri sostitutivi da esercitare sugli enti ritardatari, il cui impulso è affidato al ministero di Fitto e agli altri ministeri di volta in volta competenti per materia. Per evitare i poteri di veto delle Regioni, poi, si prevede che i provvedimenti legati al Pnrr possano essere assunti anche quando la Conferenza delle Regioni non dà i pareri entro 20 giorni. Sembra aver avuto successo, invece, l’opposizione della Corte dei conti alla proroga dello scudo erariale.