Più fiducia e risorse a Città e Province per sbloccare il Pnrr
Abbiamo un problema col Pnrr che, per quanto in linea con gli obiettivi e con i target previsti, non lo è con l’andamento della spesa. Il dato è tanto più preoccupante se si considera che dalla prima emersione del fenomeno segnalata da Orep la differenza fra spesa prevista e spesa effettuata si continua ad allargare. Lo scorso 8 aprile avevamo rilevato su questo giornale che il ministro Franco aveva dichiarato uno scarto di 10 miliardi tra la spesa effettuata (5,1 miliardi) e quella prevista (15,425 miliardi). Successivamente nel Def la previsione di spesa dei fondi Pnrr entro il 2022 fu abbassata da 41 miliardi a 33,7 e, ultimamente, la Nadef la ha rivista ancora, riducendola a 20,5 miliardi. Sparisce così l’1% di Pil di investimenti e, se si tiene conto che in tempi bui il moltiplicatore degli investimenti pubblici è vicino a 2 grazie alle attività indotte che vengono a generarsi, stiamo parlando di circa 2% di Pil perduto, esattamente il nostro ritardo nel periodo 2020-2023 dalla performance media dell’area dell’euro (2,4% secondo le ultime stime dell’Fmi contro il nostro 0,7%, che ingloba una stima di recessione 2023 pari al -0,2%). Come affrontare la situazione sarà compito – non facile – del governo in carica che ha affidato il monitoraggio del Pnrr a un ministero ad hoc, guidato da Raffaele Fitto.
La soluzione sta sicuramente nella semplificazione delle procedure d’appalto, sulle quali ci auguriamo che il nuovo Codice intervenga efficacemente. Appare invece difficile da percorrere e alquanto illusoria la proposta di una “zona franca temporale”, per annullare la burocrazia per un paio d’anni, e questo per almeno per due motivi. Il primo è l’esistenza del regolamento Ue 2121\241 che disciplina le modalità di spesa del Pnrr, che non può essere modificato dalla legislazione nazionale e l’altro è che tale soluzione sarebbe incoerente con l’obiettivo del Pnrr di approvare definitivamente il nuovo Codice dei contratti entro marzo, perché se si adottasse la soluzione della “zona franca” il Codice appena emanato dovrebbe essere immediatamente sospeso.
La situazione è destinata ad aggravarsi se si tiene conto che tutto il processo di rendicontazione della spesa, da concludere entro il 2026, dovrà rispondere alle rigide norme del regolamento 2121\241 che si incrociano con quelle nazionali. Fra le prime quelle dell’art. 5 che impone di non arrecare un danno significativo agli obiettivi ambientali, principio difficile da dimostrare anche per la mancanza di certificazioni terze su tutta la possibile filiera di fornitori.
Un contributo alla accelerazione delle procedure di spesa lo può dare sicuramente la razionalizzazione della governance delle stazioni appaltanti. E qui si deve prendere atto che esiste una soluzione a portata di mano, che da anni peroriamo e che il nuovo ministro delle Infrastrutture potrebbe mettere in atto. L’attuale meccanismo della qualificazione delle stazioni appaltanti pecca della mancanza di un disegno di governance per il futuro degli appalti in Italia. Si ipotizza infatti in egual misura di concentrare in poche stazioni appaltanti la massa più significativa delle gare, uccidendo definitivamente le nostre Pmi o di permettere alle decine di migliaia di stazioni appaltanti attuali di continuare a operare in maniera inefficiente e inefficace purché assumano qualche dipendente competente, come sembra derivare dal simulatore messo a disposizione dall’Anac, senza peraltro prevedere risorse per investimenti in capitale umano.
La proposta intermedia da noi portata avanti è di identificare nelle Province e nelle Città metropolitane il nucleo organizzativo ottimale della rete delle stazioni appaltanti. Esse non solo hanno expertise nelle gare pubbliche, che molte di loro hanno ricostituito con successo come stazioni uniche appaltanti, ma culturalmente sono anche le più consone a rappresentare il territorio, per motivi di storia e di prossimità. La condizione però è che si mettano a disposizione cifre significative a ognuna di queste 100 nuove stazioni appaltanti per assumere personale giovane a tempo indeterminato da affiancare agli acquirenti pubblici più esperti dell’amministrazione prima che vadano in pensione, per spendere in tecnologie all’altezza del compito, per concedere autonomia con dati volti a misurare la performance di ognuna e permettere l’aggregazione delle conoscenze tra loro. Queste cifre stanziate, a mo’ di investimento in capitale umano e tecnologie, si ripagherà 10 volte con l’identificazione ed eliminazione di sprechi e ritardi. Solo così potremo cominciare a riavviare la macchina amministrativa degli appalti, non solo per il Pnrr, ma per quella ingentissima macchina di acquisti pubblici, oggi volano di sviluppo dimenticato in Italia, ma non nel resto del mondo.