Amministratori

La Corte costituzionale «boccia» la normativa della Regione Calabria sugli usi civici

Stop all'iter semplificato di liquidazione, di legittimazione dell'occupazione sine titulo di terre del demanio comunale e di affrancazione dei fondi enfiteutici

di Pietro Verna

Cala il sipario sulla procedura semplificata di liquidazione degli usi civici, di legittimazione dell'occupazione sine titulo di terre del demanio civico comunale e di affrancazione dei fondi enfiteutici che era stata introdotta dal legislatore regionale calabrese con la legge 21 agosto 2007 n. 18 (Norme in materia di usi civici) per le «aree con destinazione urbanistica edificatoria, commerciale agricola o industriale, ovvero aree parzialmente o completamente edificate o pertinenze di fondi urbani». É l'effetto della sentenza della Consulta n. 236/2022 che ha dichiarato incostituzionale - per violazione della competenza esclusiva del legislatore statale in materia ordinamento civile e di tutela dell'ambiente - l'articolo 1 della legge della Regione Calabria 41/2021 che prorogava fino al 31 dicembre 2022 il termine, precedentemente fissato al 31 dicembre 2016, dalla legge regionale 18/2007 per l'applicazione della suddetta procedura semplificata.

La pronuncia della Corte costituzionale
La normativa regionale era stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri che aveva denunciato il contrasto della procedura semplificata (applicazione dell'istituto del silenzio assenso ed esonero dell'istante dal dover acquisire il parere delle comunità montane e il visto della regione) con la normativa statale in tema di beni civici (legge 1766/1927, articoli 5, 6, 7, 11 e 21; articolo 41 del regio decreto 332/1928) nonché con il codice dei beni culturali del paesaggio (articolo 142, comma 1, lettera h) e con il «concetto [di] perpetua destinazione agro-silvo-pastorale dei beni demaniali di uso civico» affermato dall'articolo 3, comma 3, della legge 20 novembre 2017 n. 168 "Norme in materia di domini collettivi". Tesi che ha colto nel segno. La Consulta ha richiamato l'articolo 66, comma 5, del Dpr 616/1977 "Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382" rilevando che il legislatore statale ha trasferito alle regioni «soltanto» le funzioni amministrative in materia di beni civici e che tali beni continuano ad essere assoggettati a vincolo paesaggistico anche ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 168/2017 sui "domini collettivi" dal momento che tale norma stabilisce che «Con l'imposizione del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da usi civici […] l'ordinamento garantisce l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. Tale vincolo è mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici». Da qui la sentenza in narrativa che conferma l'orientamento secondo cui:
• la competenza statale in materia di beni civici «trova attualmente la sua espressione [nell'] art. 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, le cui disposizioni [costituiscono] norme di grande riforma economico-sociale» ( Corte costituzionale, sentenze n. 207 e n. 66 del 2012, n. 226 e n. 164 del 2009 e n. 51 del 2006);
• nell'ordinamento costituzionale « prevale – nel caso dei beni civici – l'interesse di conservazione dell'ambiente naturale in vista di una [loro] utilizzazione, come beni ecologici, tutelato dall'articolo 9 della Costituzione» (Corte costituzionale, sentenza n. 391/1989);
• la sclassificazione dei beni civici «non può essere fatta unilateralmente dalla Regione, ma deve essere frutto di una co-pianificazione paesistica tra Stato e Regione dal momento che tali beni sono inalienabili, inusucapibili ed imprescrittibili e la loro sclassificazione è un evento eccezionale subordinato alle specifiche condizioni di legge» (Corte costituzionale, sentenza n. 103/2017).
Ciò non mancando di rilevare che il silenzio assenso contemplato dalla procedura semplificata in questione collide con l'articolo 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990 n. 241"Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" atteso che tale norma «esclude l'applicazione del silenzio assenso cosiddetto "verticale", ove vengano in rilievo il patrimonio culturale e paesaggistico o l'ambiente» (in senso conforme, Corte costituzionale, sentenza n. 160 del 2021: l'articolo 20, comma 4, della legge 241/1990 non ammette l'applicazione del silenzio assenso nei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni preposte alla tutela dei cosiddetti "interessi sensibili", tra cui quelli relativi agli atti e ai procedimenti riguardanti il patrimonio paesaggistico).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©