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«Spazzacorrotti», non è retroattiva la stretta sulle pene accessorie

La Cassazione chiarisce la portata della stretta in vigore dal 2019

di Giovanni Negri

Nessuna applicazione retroattiva della stretta decisa dalla Legge «Spazzacorrotti», la n. 3 del 2019, per i colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione. La possibilità di colpire con le pene accessorie anche i condannati in seguito a patteggiamento, con pena inferiore a 2 anni, non deve riguardare i fatti commessi prima del 31 gennaio 2019 . A stabilirlo la cassazione, con la sentenza n. 40538 della Sesta sezione penale. Annullata così la sentenza del Gip con la quale un medico, ritenuto colpevole di peculato, era stato sanzionato con due anni di detenzione e l’interdizione per 13 mesi dai pubblici uffici.

La Cassazione sposa la linea più favorevole all’imputato ritenendo l’applicazione delle pene accessorie per iniziativa del giudice, quindi al di fuori dell’accordo tra le parti, nel caso di applicazione della pena non superiore a due anni di reclusione costituisce un trattamento penale sfavorevole , visto questa possibilità non era prevista (vigeva il limite dei due anni) dalla disciplina in materia di patteggiamento al momento del reato.

Dopo avere ripercorso anche i fondamenti internazionali del divieto di retroattività delle norme di diritto penale sostanziale, la Cassazione sottolinea che non può essere dubbio il fatto che la possibilità per il giudice di applicazione discrezionale delle pene accessorie, disposta dalla «Spazzacorrotti», anche in caso di pena patteggiata nel limite di due anni non ha un valore solamente processuale. Si tratta invece «di norme che esplicano effetti sostanziali incidenti direttamente sull’an della pena, attraverso l’articolazione del trattamento punitivo e sulla sua portata, e che incidono sulla ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si sarebbe trovato esposto l’agente, trasgredendo il precetto penale in relazione alle conseguenze che ne derivano»

Sono norme processuali, con effetti sostanziali, che aggpesantiscono il trattamento punitivo, compromettendo la libertà delle scelte di azione già al momento della commissione del fatto. Per la Cassazione, i diversi effetti delle scelte premiali collegate al rito sono costitutivi della pena inflitta.

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