Personale

Personale, nei Comuni due miliardi di indennità

Per trovare il paradiso dei dipendenti comunali bisogna andare a Salerno, e imboccare la strada che alle spalle della città porta ai Monti Picentini. Appena si comincia a salire, alle pendici del parco regionale, si incontra Giffoni Sei Casali, che già dal nome denuncia l’origine dall’unione di diversi centri rurali. Con poco più di 5mila abitanti sparsi in 35 chilometri quadrati, Giffoni vanta un primato che può far felici la sua manciata di dipendenti: ognuno di loro ha a disposizione 14.319 euro all’anno di fondo accessorio, la voce che finanzia tutte le indennità aggiuntive rispetto allo stipendio fisso («tabellare»). Chissà che cosa ne pensano a Grazzanise, un centinaio di chilometri a Nord in provincia di Caserta, dove nella stessa casella ci sono solo 426,4 euro all’anno.
I casi limite rappresentati dai due piccoli enti campani, e individuati dal Rapporto Comuni di ErmesPa, che sarà presentato domani a Roma, offrono un riassunto efficace di uno dei problemi più intricati nella gestione del personale pubblico in tutta Italia.

I numeri della Ragioneria
Sotto esame, sulla base dei dati contenuti nell’ultimo conto annuale del personale prodotto dalla Ragioneria generale dello Stato, è finita la situazione dei 2.298 Comuni delle Regioni ordinarie con più di 10 dipendenti e 5mila abitanti, e i numeri ballano molto anche nelle grandi città: a Salerno, primatista fra i capoluoghi, c’è a disposizione di ogni dipendente una media di 10.067 euro all’anno, mentre a Ferrara ci si ferma a 3.181 euro. Reggo Emilia e Parma completano la triade emiliana delle città più “austere” a livello nazionale, mentre all’altro capo della graduatoria dietro a Salerno, ma distanziati, si incontrano Bari (7.161 euro all’anno) e Messina (7.041): un Comune, quest’ultimo, alle prese con un difficile piano di riequilibrio per evitare il dissesto.

Fondi e indennità
Alla base di queste cifre c’è uno dei “misteri” più gelosamente custoditi nei meccanismi del pubblico impiego, quello sul funzionamento dei fondi decentrati che finanziano le indennità regolate dai contratti integrativi. Si tratta di due miliardi di euro all’anno, e nel tempo sono attorcigliati in un gomitolo di parametri che nemmeno i più esperti riescono più a dipanare.
Solo un dato è certo: quando gli ispettori della Ragioneria generale si mettono a controllare le carte, vanno quasi a colpo sicuro a caccia delle irregolarità: è successo in questi anni a Roma, Firenze, Vicenza, Reggio Calabria e in tanti altri centri grandi e piccoli, al punto da spingere il governo Renzi a intervenire per evitare i recuperi individuali degli stipendi illegittimi che avrebbero imposto di tagliare per anni le buste paga dei diretti interessati.
Nemmeno questo rimedio, che chiede di compensare gli stipendi troppo “generosi” del passato alleggerendo il fondo accessorio degli anni successivi, brilla per chiarezza; nelle amministrazioni le sue applicazioni sono le più disparate.
Il punto, insomma, è spinoso, e uno dei compiti fondamentali dei rinnovi contrattuali su cui sono appena ripartite le trattative è quello di semplificare le regole, per renderle più lineari e soprattutto controllabili.
Ma a che cosa servono questi fondi? In teoria dovrebbero andare soprattutto a premiare la produttività degli uffici e dei loro dipendenti, ma il censimento prodotto dalla Ragioneria generale disegna una situazione diversa.
Nel loro complesso, i fondi di regioni ordinarie ed enti locali hanno raccolto nel 2015, ultimo anno finora fotografato dalla Ragioneria, 1,95 miliardi, ma ai premi legati alle performance sono andati solo 340 milioni, cioè poco più di 17 euro su 100, divisi più o meno a metà fra la «performance collettiva», cioè i risultati ottenuti dagli uffici nel loro complesso, e «performance individuale», il parametro che dovrebbe misurare il contributo di ogni dipendente alla causa.
Il resto è stato assorbito dalle voci fisse, a partire dalle vecchie promozioni cristallizzate (679 milioni) e dalle indennità (227 milioni) che compensano i turni o il «disagio» (per esempio dei vigili urbani che lavorano in strada). Altri 211 milioni sono serviti per le indennità di «posizione», destinate ai dipendenti ai quali vengono affidate responsabilità particolari anche senza essere dirigenti. I nuovi contratti, secondo la riforma del pubblico impiego, dovrebbero dirottare alla produttività la «quota prevalente» di questi fondi: una sfida titanica, numeri alla mano.

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