Personale

L'abuso dei permessi sindacali legittima il licenziamento

La vicenda ha riguardato un lavoratore del settore privato tuttavia i fondamenti di questa decisone possono valere anche per la Pa

di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

È legittimo il licenziamento del lavoratore che utilizza per finalità personali i permessi sindacali. Così si è espressa la Corte di cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 26198/2022, sul delicato argomento dell'abuso dei permessi sindacali, confermando la legittimità del licenziamento inflitto al dipendente che utilizza per finalità personali i permessi sindacali, nel caso di specie per la partecipazione alle riunioni degli organismi direttivi sindacali (come disciplinati dall'articolo 30 della legge 300/1970). La vicenda ha riguardato un lavoratore del settore privato tuttavia i fondamenti di questa decisone possono farsi valere anche per i lavoratori della pubblica amministrazione.

Il fatto

Un dipendente veniva licenziato dal proprio datore di lavoro perché nel corso di una giornata di assenza, coperta con un permesso ex articolo 30 della legge 300/1970, si era dedicato a tutt'altre attività, personali e diverse dalla finalità di partecipazione alle riunioni degli organismi sindacali. Il lavoratore aveva impugnato giudizialmente il provvedimento di licenziamento disciplinare irrogatogli fondando la sua difesa sul presupposto che l'eventuale abuso dei permessi non poteva produrre alcuna conseguenza risolutiva del rapporto di lavoro, potendo essere ricondotta alla concreta fattispecie all'ipotesi dell'assenza ingiustificata punita con sanzione conservativa dal contratto collettivo. Il licenziamento è stato confermato sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, così che il lavoratore a promosso ricorso in Cassazione.

La decisione
I permessi per la partecipazione alle riunioni agli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni sindacali, per come disciplinati dallo Statuto dei lavoratori, hanno finalità specifica, posto che possono essere utilizzati soltanto per consentire la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi del sindacato, e sono per loro natura facilmente controllabili ed in caso di accertata mancata partecipazione la condotta del lavoratore è certamente censurabile. Per la Corte di cassazione la condotta del dipendente ha concretizzato un «abuso del diritto» rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali escludendo la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa l'assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro. Pertanto, nel caso di specie, avendo il datore di lavoro accertato che il dipendente durante la fruizione dei permessi summenzionati si era dedicato ad attività personali del tutto estranee alle finalità degli stessi permessi, il licenziamento è da ritenersi legittimo.
La decisione si allinea così all'orientamento consolidato della Cassazione secondo il quale l'uso ai fini personali di permessi sindacali retribuiti integra «abuso del diritto e si pone in aperta violazione dei fondamentali doversi di diligenza, buona fede e correttezza che devono essere rispettati nell'ambito di ogni rapporto di lavoro, sostanziandosi in una condotta che, per le concrete modalità di realizzazione, appare in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, configurando, dunque, un grave inadempimento degli obblighi attinenti al rapporto di lavoro che rende giustificata la massima sanzione espulsiva» (Corte di cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 4943/2019).

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