Imprese

A rischio gran parte delle agevolazioni oggi riconosciute agli ets

Si profilano inoltre vizi di legittimità costituzionale del Dlgs n. 117 per eccesso di delega

di Marco Nocivelli

Nonostante i ritocchi, permangono all'interno dell'articolo 79 del Codice del terzo settore disposizioni (in particolare i commi 2-bis e 3) appesantite da molteplici e contorte eccezioni che invadono tanto la sfera oggettiva quanto quella soggettiva, fomentando dubbi sulla questione fondamentale: quando un'attività si considera/non si considera commerciale ai fini Ires? Dicotomia che ha riflessi dirompenti sul fronte Iva, causati dall'articolo 89, comma 7, lettera b), che riserva l'esenzione le attività socioassistenziali/sanitarie a ets non commerciali. Eppure, a quelli commerciali è parimenti riconosciuto dallo Stato il carattere sociale, in virtù del Codice stesso, facendo dubitare il rispetto dell'articolo 133 della direttiva comunitaria Iva 2006/112/Ce.

Ma prima degli effetti c'è la causa: quando e come rileva lo svolgere un'attività di interesse generale in forma d'impresa se, nella realtà dei fatti, la connotazione essenziale di buona parte degli ets è inevitabilmente un'organizzazione aziendale complessa, come l'articolo 2555 del codice civile insegna, benché totalmente fuori dal fine lucrativo? Perché differenziare la fiscalità di enti del tutto simili per oggetto (articolo 5), finalità (no scopo di lucro), veste giuridica, governance e altri vincoli disseminati nel decreto n. 117? Che cosa giustifica un diverso trattamento fiscale tra due ets in veste di fondazioni che operano in ambito socio-assistenziale, entrambi accreditati dalla Regione, che non possono distribuire avanzi di gestione né destinarli ad attività diverse, esclusivamente per il fatto che hanno ricevuto apporti pubblici tali da superare la fatidica soglia del 5% di surplus dei ricavi sui costi (comma 2-bis dell'articolo 79) oppure perché gli amministratori, per l'opera svolta, percepiscono un simbolico compenso (o, comunque, ben lontano dal remunerare la responsabilità assunta) come stabilito dal comma 3, lettera b-bis).

Si tratta di una questione prioritaria, un vero e proprio dubbio esistenziale di cui si sta discutendo nei Cda di molte fondazioni private, Onlus che operano in ambito sociosanitario, che avrà effetti dirompenti per Ires, Iva e anche nel frammentato contesto della fiscalità locale, con il rischio di perdere, nel trapasso imposto dal Codice del terzo settore, gran parte delle agevolazioni oggi riconosciute.

Aleggiano, peraltro, vizi di legittimità costituzionale del Dlgs 117 per eccesso di delega rispetto alla legge 106/2016. Dalla lettura combinata dei due testi normativi emergono un paio di discordanze che sollevano dubbi circa l'osservanza dei principi e criteri direttivi. La legge delega, infatti, prevedeva, riguardo alle onlus, la «revisione della disciplina riguardante le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse…» (articolo 9, comma 1, lettera m). L'articolo 102 del decreto n. 117, invece, ha disposto l'abolizione delle Onlus, cosa ben diversa dalla revisione. Ben possibile è che ciò possa infiammare il contenzioso non appena le onlus più strutturate vivranno l'acme della crisi per l'ingresso forzato nel Runts.

Sempre l'articolo 9 della legge n. 106 disponeva la «revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall'ente e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche». Invece, come già detto, l'articolo 79 del decreto n. 117 ha innalzato una distinzione tra commerciale e non commerciale pur nella comunanza delle finalità di interesse generale, con differenziazioni di trattamento tra alcune attività contemplate nell'articolo 5 (benché tutte di interesse generale) con buona pace dell'intento di "armonizzazione" (l'incipit della legge delega).

Evidente, poi, la disparità di trattamento fiscale tra le organizzazioni di volontariato, già Onlus, e gli altri che stanno perdendo tale qualifica. Per l'articolo 84, comma 2: «I redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall'imposta sul reddito delle società». Questa nuova agevolazione, che evita la surrettizia tassazione Ires delle attività istituzionali per effetto della decommercializzazione delle stesse, provoca una curiosa quanto iniqua disparità di trattamento rispetto agli altri ets non commerciali. Se è vero che la novella ha lo scopo, così si legge nella relazione illustrativa del decreto n. 117, «di evitare che il possesso degli immobili possa intaccare le risorse destinate allo svolgimento di attività di interesse generale meritevoli di tutela».

Per completare un quadro tutt'altro che favorevole, l'articolo 89 (comma 5) disapplica a tutti gli ets la riduzione dell'Ires del 50% prevista dall'articolo 6 del Dpr 601/1973, agevolazione di cui oggi beneficiano quasi tutte le Onlus. Una disapplicazione, si legge nella relazione illustrativa, voluta dal Governo «allo scopo di evitare una duplicazione di benefici fiscali». "Duplicazione" che, in verità, non si scorge proprio dove potrebbe risiedere, sia nel nuovo impianto normativo sia rispetto a quello che sta per essere abolito.

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