I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Rassegna sull’inquinamento ambientale

di Mauro Calabrese

Inquinamento ambientale - Discarica non autorizzata - Responsabilità penale - Proprietario - Definitività - Degrado - Trasformazione, recupero, riciclo - Assenza - Irrilevanza

Ai fini della configurabilità della responsabilità del proprietario di un area inquinata, il quale abbia tollerato l’abbandono sistematico di rifiuti sul proprio fondo, per il reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata ex art. 256, comma III, Dlgs n. 152 del 2006 per il ripetuto accumulo di terra, rocce da scavo, materiali ferrosi e plastica, durante un lungo periodo di tempo, con conseguente inquinamento del terreno, è necessario l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, anche se non abituale, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività , in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 6 maggio 2021, n. 17387

 

Inquinamento ambientale - Inquinamento idrico - Guasto tecnico - Caso fortuito - Forza maggiore - Condizioni - Eccezionalità - Imprevedibilità -

Il caso fortuito e la forza maggiore si fondano sulla eccezionalità del fatto e la imprevedibilità dello stesso, pertanto, in materia di inquinamento idrico punito ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies del Dlgs n. 152 del 2006, per il superamento dei limiti del parametro del boro stabilito Tabella 3, Allegato 5, Parte Terza del Codice dell’Ambiente, tali evenienze non sono ravvisabili nel verificarsi di guasti tecnici dell’impianto, come nel caso della rottura di una condotta che determini la fuoriuscita dei reflui, trattandosi di accadimenti che, sebbene eccezionali, ben possono essere, in concreto, previsti ed evitati.
Secondo la giurisprudenza di legittimità in casi simili, non opera l’esclusione della punibilità per fenomeni di inquinamento addebitabili ad inconvenienti di natura tecnica, come la rottura di un tubo, il guasto a una pompa con malfunzionamento di impianti di depurazione, la rottura di una guarnizione o la mancanza di energia, la bruciatura di una resistenza, come pure la corrosione di canalette di adduzione di reflui dovuta all’acidità dei reflui stessi, l’intasamento di un depuratore, nonché il piegamento di un tubo destinato ad immettere nell’impianto sostanze per l’abbattimento dei valori di determinati inquinanti, anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici.
Invero, il titolare di un insediamento produttivo ha il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, adottando tutte le misure, relativamente al ciclo produttivo, necessarie alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza, non costituendo fatti imprevedibili circostanze quali l’inclemenza atmosferica, come una pioggia abbondante o il freddo intenso, né i guasti meccanici dell’impianto di depurazione o i comportamenti irregolari dei dipendenti, che pertanto non costituiscono caso fortuito o forza maggiore.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 20 maggio 2021, n. 19986

 

Inquinamento atmosferico - Emissioni - Superamento dei limiti - Attività industriale - Autorizzazione - Emissioni odorigene - Violazione delle prescrizioni - Getto pericoloso di cose - Molestie - Stretta tollerabilità - Normale tollerabilità

Nel caso delle emissioni odorigene provenienti da un impianto di trattamento di fanghi e liquami, la violazione delle misure imposte ai sensi dell’articolo 272-bis del Dlgs n. 152 del 2006 per le attività che producono emissioni in atmosfera configura la contravvenzione di cui all’articolo 279 comma 2 del Codice dell’Ambiente, se riferita a valori limite di emissione, punibile negli altri casi con le sanzioni amministrative di cui al comma 2-bis del medesimo articolo. Invece, in caso di violazione delle prescrizioni relative alle emissioni odorigene imposte con l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) alle attività ad essa soggette si applicano le sanzioni di cui all’articolo 29-quaterdecies del Testo Unico Ambientale.
Data la diversità del contenuto precettivo e del bene tutelato, riguardando le norme contro l’inquinamento atmosferico l’apprestamento di determinate cautele ed il rispetto delle prescrizioni e limiti indicati dalla legge e dagli atti abilitativi e la tutela dell’ambiente, è sempre possibile il concorso con il reato di «getto pericoloso di cose» o di emissioni di gas, vapori e fumi atti a offendere o molestare le persone, cui all’articolo 674 del Codice Penale, posto a tutela dell’incolumità pubblica, pur dovendosi distinguere, nella definizione di molesta, tra attività produttiva svolta in assenza dell’autorizzazione dell’Autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di «stretta tollerabilità» e quella esercitata in conformità all’autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla «normale tollerabilità» delle persone, che si ricava dall’articolo 844 del Codice Civile e che ricorre sempre che l’azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l’impatto delle emissioni.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 21 maggio 2021, n. 20204

  

Inquinamento ambientale - Responsabilità - Misure di sicurezza e prevenzione - Proprietario Incolpevole - Precauzione - Competenza - Ministero della Transizione Ecologica (Mite)

Se è pur vero che è sul responsabile dell’inquinamento ambientale che gravano gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di «facere» che riguarda l’adozione delle misure di prevenzione di cui all’articolo 242 del Dlgs n. 152 del 2006, laddove in materia di ambiente la preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genere delle misure precauzionali: non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, tale misura, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell'eventuale responsabile.
In materia di misure di prevenzione del danno da inquinamento ambientale sussiste la competenza del Ministero della Transizione Ecologica (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) in forza delle previsioni dell’articolo 304 del Codice dell’Ambiente, ai sensi del quale il Ministero non solo è legittimato a chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente, ma può anche ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire ed adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione II bis, Sentenza 24 maggio 2021, n. 6046

Inquinamento ambientale - Illecito smaltimento rifiuti - Amianto - Compromissione - Deterioramento - Ecosistema - Matrice ambientale

Ai fini dell’accertamento e della punibilità del delitto di inquinamento ambientale previsto dall’articolo 452-bis del Codice Penale, provocato per mezzo dell’illecito smaltimento di eternit, contenente amianto, e altri materiali di risulta, i concetti di «compromissione» e di «deterioramento», di cui alla fattispecie criminosa, consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della compromissione, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del deterioramento, da una condizione di squilibrio «strutturale», connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.

Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 25 maggio 2021, n. 20785

 

Inquinamento ambientale - Prescrizione del reato- Sequestro - Obbligo di bonifica - Sanzione penale - Misure di prevenzione - Omessa bonifica

Premesso che in materia di rifiuti, l’ordine di bonificare i luoghi interessati da reati ambientali costituisce una sanzione penale atipica che può essere irrogata dal Giudice penale solo con la sentenza di condanna ai sensi dell’articolo 256 del Dlgs n. 152 del 2006, in caso di estinzione del reato ambientale per prescrizione, è illegittimo il provvedimento di dissequestro dell’area adibita a discarica abusiva, ma subordinato alla bonifica della stessa, gravando sul responsabile dell’inquinamento esclusivamente gli obblighi ai sensi degli articoli 242 e seguenti del Codice dell’Ambiente, in quanto tenuto ad attuare le necessarie misure di prevenzione ed eventualmente, a date condizioni, a provvedere al ripristino della zona contaminata.
A fronte dei correlativi poteri-doveri, in materia di bonifica dei siti inquinati, a carico degli Enti Pubblici competenti, come previsti dal Codice dell’Ambiente, in caso di omessa bonifica, risultano configurabili, ricorrendone i diversi presupposti, le fattispecie di reato di cui all’articolo 452-terdecies del Codice Penale o di cui all’articolo 257 del Testo Unico ambientale.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, 28 maggio 2021, n. 21090

 

Inquinamento ambientale - Deposito incontrollato -  Abbandono di sostanze inquinanti - Art. 192 Dlgs n. 152/2006 .- Ordinanza sindacale - Messa in sicurezza - Proprietario incolpevole

La qualificazione come sottoprodotto, ai sensi dell’articolo 184-bis del Dlgs n. 152 del 2006, dipende dalla assoluta certezza e legalità del riutilizzo del materiale, dovendosi escludere la possibilità di qualificare come tale il deposito a tempo indeterminato e incontrollato di materiale abbandonato e custodito in modo improprio, costituendo altrimenti rifiuti da smaltire. Pertanto, esclusa la qualifica di sottoprodotti, per le scorie saline di una fonderia, laddove i cumuli di scarti giacciono per anni nel sito interessato, incustoditi e mal conservati, e non sono oggetto di alcun attuale o recente utilizzo o riutilizzo nell’ambito di alcun processo produttivo, sia da parte del loro originario produttore, sia della odierno proprietario, sia infine di terzi soggetti, è legittima l’ordinanza del Sindaco, emessa ai sensi dell’articolo 192 del Codice dell’Ambiente, nei confronti dell’attuale proprietario del sito, seppure incolpevole, in quanto finalizzata alla messa in sicurezza, classificazione e definitiva rimozione dei rifiuti oggetto di deposito incontrollato, non esigendo lo stretto accertamento dell’elemento psicologico e del nesso di causalità fra la condotta di detenzione del rifiuto in ragione della disponibilità dell’area e il rischio ambientale dell’inquinamento.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 31 maggio 2021, n. 4145

 

Inquinamento ambientale - Discarica non autorizzata - Proprietario responsabile - Presunzioni e indizi - Obblighi - Ordinanza sindacale - Abbandono di rifiuti - Incolumità e salute pubblica

Premessa la competenza delle Province a provvedere sugli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati, in caso di superamento dei valori soglia di contaminazione, ai sensi de ai sensi degli articolo 242 e seguenti del Dlgs. 152 del 2006, una volta accertato il deposito incontrollato di rifiuti su un fondo e la gestione di una discarica non autorizzata, spetta al Sindaco del Comune il potere, con ordinanza ai sensi dell’articolo 192 del Codice dell’Ambiente e degli articoli 50 e 54 del Testo Unico degli Enti Locali, di disporre la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati, il ripristino dello stato dei luoghi, oltre a imporre ulteriori obblighi in base ai poteri di ordinanza contingibile e urgente che il Sindaco può esercitare nelle situazioni di pericolo per l’igiene e l’incolumità pubbliche.
Accertato il deposito incontrollato di rifiuti e la gestione di una discarica non autorizzata, al proprietario del fondo possono essere addossati i costi dello smaltimento, rilevando la disponibilità materiale dei beni ovvero la titolarità di un titolo giuridico, quale che esso sia, che consenta o imponga l’amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati, e quindi, in via logica, anche la proprietà del fondo, ben potendo la prova della colpevolezza raggiungersi in via logica e indiziaria, perché altrimenti, i costi della bonifica finirebbero per ricadere sulla collettività incolpevole e il principio «chi inquina paga» sarebbe vanificato. Pertanto, risponde per l’abbandono di rifiuti su un’area da parte di terzi anche il proprietario che ne fosse a conoscenza e abbia omesso di attivarsi per contrastarlo, con recinzioni del fondo ovvero, laddove le difese passive come le recinzioni siano eccessivamente costose o poco dissuasive, con tempestive denunce alle Autorità competenti affinché provvedano.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 1° giugno 2021, n. 4200

 

Inquinamento ambientale - Responsabilità - «chi inquina paga» - Proprietario - Società - Fallimento - Soci di capitale - Amministratori

Il principio generale di diritto europeo che regola la materia della responsabilità per danno ambientale da rifiuti, principio «chi inquina paga», espresso dal primo considerando della Direttiva 2008/98/Ce, che si applica anche alla materia fallimentare, ferma la responsabilità del responsabile dell’inquinamento, si basa sul cardine della responsabilità del proprietario, nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione, non rilevando l’ignoranza delle condizioni oggettive di inquinamento in cui versa il bene, che non esclude la responsabilità di chi ne è successivamente divenuto proprietario. Ciò premesso, pur confermato il principio di concorrenzialità tra le responsabilità dei diversi soggetti che, a vario titolo, sono o sono stati coinvolti nelle fattispecie di danno o di pericolo per l’ambiente, compresa la Curatela fallimentare della società responsabile del danno ambientale, è illegittima l’ordinanza del Sindaco, ai sensi dell’articolo 192 del Dlgs n. 152 del 2006, di intimazione a porre in essere le misure di prevenzione e messa in sicurezza di una discarica dismessa, emessa nei confronti dei soci di una società di capitale fallita, in quanto, ai sensi dell’articolo 2476 del Codice Civile, la responsabilità per il danno ambientale è imputabile solo agli amministratori e a coloro che, pur essendo soci, hanno formalmente rivestito la carica di amministratori o di fatto si siano ingeriti nell’amministrazione della società, intenzionalmente decidendo o autorizzando il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 8 giugno 2021, n. 4383