Urbanistica

L'edificio non c'è più? Ugualmente possibile la ristrutturazione con ampliamento volumetrico

Così il Tar Lazio. Ma l'esistenza della struttura scomparsa va dimostrata da una «adeguata analisi storico-tecnica»

di Massimo Frontera

Anche l'edificio che non c'è più da molto tempo può essere oggetto di un intervento di ristrutturazione edilizia (come definito dal Testo unico edilizia) e può inoltre beneficiare dell'ampliamento volumetrico previsto dai vari piani casa regionali. Lo ha ribadito il Tar Lazio (Prima Sezione di Latina) nella pronuncia pubblicata il 27 maggio scorso (n.505/2022). Pronuncia con la quale i giudici hanno annullato il diniego del permesso di costruire da parte del comune di Gaeta nei confronti di un privato che intendeva appunto avvalersi delle norme del Piano casa delle Regione Lazio per realizzare una ricostruzione, con ampliamento volumetrico, di un edificio cancellato dai bombardamenti dell'ultima guerra, di cui restava solo una sorta di "impronta" riscontrabile negli edifici vicini.

Il comune ha opposto però un diniego al rilascio del permesso di costruire, con il motivo che le specifiche norme del piano casa non potessero applicarsi a edifici esistenti. La tesi del Comune è stata però respinta dai giudici del Tar, giudicando fondati i motivi del ricorso da parte del ricorrente, a cominciare dalla interpretazione della "ratio" del Piano casa (oltre che del Dpr 380/2001), che è appunto quella di una «riqualificazione del patrimonio edilizio senza ulteriore consumo di suolo, sussumibile nel concetto di ripristino di edifici di cui sia percepibile l'esistenza almeno come "rudere" o con la presenza di resti attestanti la passata presenza dell'edificio e comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro capacità di rilevare la consistenza originaria dell'immobile».

Quanto poi alla dimostrazione dell'esistenza dell'edificio, nel caso specifico la parte ricorrente segnalava come questa fosse «comprovata dall'attuale stato dei luoghi - muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti - e dalla presenza nell'elenco dei "beni distrutti", al foglio di mappa SU/1, con medesimo mappale n. 2079».

Esaminando il caso alla luce del combinato disposto tra Testo unico edilizia e Piano casa Lazio, i giudici non riscontrano alcun «esplicito riferimento alla necessità di una fisica esistenza dell'immobile oggetto della "sostituzione edilizia" in questione, anche perché palesemente illogica sarebbe la previsione di possibilità di recupero di un immobile assentito ma non ultimato senza che di tale ultimazione si sia data una definizione, se di "rustico" o solo corrispondente all'avvio dei lavori nei termini, agli scavi preliminari o quant'altro».

I giudici concludono che «il concetto di ristrutturazione è stato ritenuto applicabile anche all'edificio che non esiste più, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire con un'indagine tecnica. Nel caso di specie non risulta che il diniego si sia fondato sull'impossibilità di una ricostruzione della consistenza originaria, che ben potrebbe essere attivata, data la presenza di muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti, non contestata dal Comune, e sulla quale potrebbe calcolarsi la cubatura originaria».

Peraltro, i giudici ricordano quanto affermato dal Consiglio di Stato, dopo le modifiche introdotte al Testo unico edilizia con Dl 69/2013, che hanno inserito «nella lettera d) del comma 1 dell'art. 3 T.U… il riferimento agli interventi "volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione" che quindi ora rientrano nel concetto di ristrutturazione "purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza"». Ne consegue che «il concetto di ristrutturazione è stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con un'indagine tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva».

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