Urbanistica

Legge urbanistica della Lombardia, un bilancio dopo 15 anni e idee di riforma

Una legge imperniata sulla crescita e sulla pianificazione comunale senza visione

di Marco Engel, Fabio Pellicani, Laura Pogliani e Ugo Targetti

La legge lombarda modella un piano comunale (PGT) inefficace. Il Documento di Piano alla scala municipale non ha effettive capacità negoziali. L'ottica, ristretta alla dimensione locale, non considera i processi complessi di scala vasta che investono il territorio metropolitano milanese.

Il modello superato della crescita
La legge regionale lombarda n. 12/2005 ha promosso in Lombardia un modello di piano comunale fortemente improntato alla crescita: obiettivo esplicito della legge era il tentativo di superare la rigidità e la conseguente inefficacia della strumentazione locale tradizionale, di sostenere un mercato edilizio in grave stasi, di attivare risorse private per accelerare e potenziare le operazioni di trasformazione urbanistica. Obiettivo che appariva già allora indifferente rispetto alle sempre più acute criticità ambientali e paesaggistiche che si andavano determinando proprio in quegli anni a causa della crescente intensità dei fenomeni di antropizzazione e di riduzione dei suoli agricoli e naturali che hanno impoverito la produzione di funzioni ecosistemiche e che, altrettanto profondamente, hanno contribuito a modificare e degradare i valori storico-culturali, naturalistici e agrari del paesaggio lombardo.

Oggi emerge con forza nel territorio lombardo e in molte amministrazioni comunali l'esigenza di rivedere questo modello di sviluppo. È cresciuta infatti la sensibilità verso una forte limitazione delle previsioni di piano sovrastimate in favore di interventi attenti alla valorizzazione ecologica ambientale del sistema naturale e agricolo; alla costruzione di una diffusa qualità degli spazi pubblici e del verde urbano; al potenziamento della permeabilità dei suoli; al rafforzamento della rete locale e territoriale della mobilità dolce; alla riqualificazione degli ambiti degradati, alla rigenerazione dei tessuti urbani costruiti e al loro efficientamento energetico.

Caratteri innovativi e contraddizioni della strumentazione comunale vigente
La legge regionale n.12/2005 ha posto al centro della pianificazione il livello comunale, mentre la pianificazione intermedia concepita è debole. I piani provinciali sono infatti efficaci in termini di salvaguardia ambientale e la pianificazione di Città Metropolitana (introdotta dalla legge n. 56/2014) non è stata riconosciuta – se non incidentalmente e assai fugacemente - dalle successive modifiche e integrazioni della legge n. 12/2005. Questo risulta estremamente grave per una situazione regionale nella quale la dimensione metropolitana è molto forte per le evidenti interrelazioni tra infrastrutture / trasporti e sistemi insediativo / ambientale, oltre che per gli effetti territoriali delle grandi scelte di trasformazione.

Il nucleo di attenzione della l.r. n. 12/2005 e di riforma consiste nel Piano di Governo del Territorio (PGT), strutturato in tre atti: Documento di Piano, di valore strategico e non conformativo; Piano delle Regole, il piano conformativo per le aree private; Piano dei Servizi, lo strumento conformativo per le aree pubbliche o di interesse generale e indubbiamente l'aspetto più innovativo della legge (salvo quanto infra rilevato). Solo apparentemente affine all'innovazione proposta nel modello INU di quegli anni, la struttura del PGT lombardo è profondamente contraddittoria, come i quindici anni di attuazione della legge hanno evidenziato.

Il Documento di Piano (DP) non ha saputo rispondere alla finalità perseguita dal Legislatore regionale con la sua istituzione, cioè di essere uno strumento, a carattere non conformativo, per definire una visione strategica di città. Infatti, l'efficacia temporale limitata (cinque anni) assegnata al DP confligge con la sua dichiarata valenza strategica non consentendo, evidentemente, la definizione di assetti territoriali e strategie di tutela e di sviluppo nel lungo periodo. Al tempo stesso, la regolazione (e la perimetrazione) degli ambiti di trasformazione, prevista dalla legge, indebolisce la natura "non conformativa" e negoziale delle previsioni insediative del DP. In realtà, l'aspettativa edificatoria che si genera negli ambiti di trasformazione è diventata sempre più evidente, come confermato anche dalle scelte di tassazione locale applicate alle "potenziali" espansioni insediative del DP e dalla giurisprudenza del Giudice Tributario. La conseguenza di questa scelta nel disegno di piano è quella di attribuire de facto alle previsioni del DP (come nel vecchio piano regolatore generale) una possibilità edificatoria (e, pertanto, una rendita fondiaria) che viene soltanto semplicemente registrata in sede attuativa. Si attenuano fortemente, così, sia il potere negoziale dell'Amministrazione pubblica in sede di pianificazione attuativa sia le potenzialità selettive, teoricamente attribuite al processo di elaborazione dello strumento.

Un secondo elemento di forte criticità riguarda la scala di applicazione. Fino ad oggi il DP è stato applicato esclusivamente alla scala comunale, ignorando la contraddizione insita tra natura strategica di detto strumento e dimensione comunale, tanto più considerando che le dimensioni dei Comuni lombardi sono molto diversificate (il 68% dei Comuni non supera i 5000 abitanti). Questo pregiudica l'efficacia della pianificazione su questioni cruciali per lo sviluppo insediativo, infrastrutturale e per la tutela ambientale, nonché per la ripartizione bilanciata dei costi urbanizzativi e dei vantaggi economici indotti dalle maggiori trasformazioni territoriali.

Il Piano delle regole (PR) ha effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, limitatamente alle porzioni di territorio urbanizzato consolidato (la città storica, esistente e di completamento), alle aree agricole e di interesse ambientale o non trasformabili. L'innovazione più significativa concerne l'introduzione del principio di perequazione, che tuttavia la legge regionale, in assenza di normazione statale in materia, caratterizza nel senso limitativo di "compensazione" e "trasferimento dei diritti edificatori" tra aree edificabili diverse nel territorio comunale, perché non sottolinea a sufficienza lo scopo principale dello strumento perequativo che, nel modello INU, è quello di un'acquisizione selettiva, e cospicua, di aree necessarie per quei servizi ritenuti prioritari in base ad una verifica dei bisogni locali. Promuovendo la libera commerciabilità dei diritti volumetrici a compensazione dell'inedificabilità di alcune aree la l.r. n. 12/2005, inoltre, ha sollevato alcuni problemi – relativi alla natura giuridica dei diritti edificatori trasferibili e alla loro "volatilità" e alle modalità di gestione dei trasferimenti - che non possono che trovare soluzione da parte del legislatore statale e, auspicabilmente, nel contesto di un'organica e sistematica riforma della normazione urbanistica statale.

Il Piano dei Servizi (PdS) – già previsto dalla l.r. n. 1/2001 ma solo come mero allegato alla Relazione illustrativa del Piano Regolatore Generale - è uno strumento innovativo che riporta al centro dell'attenzione dei Comuni il tema dei servizi, non più solo in termini quantitativi, cioè misurati attraverso la contabilità, spesso virtuale, delle aree destinate a funzioni pubbliche, ma anche attraverso criteri qualitativi e prestazionali e sulla base di valutazioni di funzionalità, fruibilità, accessibilità e fattibilità. Un'interpretazione ambiziosa avrebbe affidato al PdS anche il disegno dello spazio collettivo, nonché il compito di programmare sviluppo immobiliare e fornitura di servizi e infrastrutture, avvalendosi di meccanismi perequativi e politiche di incentivazione o disincentivazione (attraverso premi volumetrici, riduzione mirata degli oneri, tassazioni ad hoc).

Nei quindici anni di attuazione si è tuttavia privilegiato un approccio di natura amministrativa gestionale, confinando lo strumento entro l'angusto perimetro della sola riorganizzazione dei servizi locali, talora comprensivo del ventaglio delle opzioni private. Questo ha spesso messo in luce l'impossibilità di uno strumento di natura urbanistica di governare e coordinare i diversi settori dell'amministrazione comunale. Di conseguenza, anche questa attività apparentemente più modesta e meno progettuale è risultata, alla prova dei fatti, scarsamente praticabile e, in genere, i PdS si sono risolti in uno strumento poco interessante, che registra semplicemente le dotazioni dei servizi esistenti a livello comunale. Le ragioni di queste dinamiche sono certamente varie e rispecchiano anche le differenze fra i contesti locali, che l'attitudine riduzionista della l.r. n. 12/2005 non consente di sviluppare perché decisamente ancorata ad un approccio omologante nel trattamento dei bisogni dei territori, nei fatti superato.

La criticità maggiore riscontrata nelle pratiche dei PdS risiede alla fine nella difficoltà di tutelare efficacemente l'interesse pubblico, cioè il nodo sostanziale che caratterizza i processi di negoziazione pubblico/privato. Gli aspetti valutativi avrebbero dovuto assumere un ruolo centrale a supporto delle pratiche negoziali, sia in sede di pianificazione generale che in fase attuativa e nella specifica conformazione del PdS, ma le numerose esperienze messe in gioco dimostrano invece la debolezza di questi apparati valutativi a disposizione delle strutture pubbliche, aspetto specifico della più generale e risalente difficoltà della Pubblica Amministrazione italiana a operare in conformità di criteri di utilità di risultato e gestionali.

I passi successivi (l.r. n. 31/2014 e 18/2019) e i limiti dell'impostazione regionale
Se il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana costituiscono indubbiamente obiettivi e strategie ampiamente condivisibili, le leggi regionali lombarde approvate recentemente su questi temi (rispettivamente l.r. n. 31/2014 e l.r. n. 18/2019), che hanno significativamente modificato la legge regionale n. 12/2005, risultano molto problematiche. Sul fronte del consumo di suolo, l'esclusione di molte categorie di interventi che certamente incidono pesantemente sulla qualità ecologica dei suoli e la definizione di un regime transitorio che fa salve tutte le previsioni in essere sono scelte criticabili, pur non omettendo di prestare la dovuta attenzione al realismo dal quale la seconda di esse, forse, scaturisce.

Sul fronte della rigenerazione urbana, la l.r. n. 18/2019 afferma che la rigenerazione costituisce il principio fondativo per il trattamento della città e del territorio già costruiti e artificializzati. Propone tuttavia modalità di incentivo censurabili, laddove prevede semplificazioni procedurali nel percorso di approvazione e attuazione, incentivi sia monetari che volumetrici e una riduzione consistente degli standard urbanistici, degli oneri urbanizzativi e, più in generale, delle misure di regolazione urbanistica (in materia di densità e di altezze) prevista dalla disciplina nazionale. A tale proposito, le riserve espresse da diversi osservatori (INU Lombardia, Anci, Legambiente) nelle occasioni di discussione e presentazione pubblica del provvedimento riguardano almeno tre aspetti.

Il primo aspetto critico concerne la natura degli incentivi messi in campo sia volumetrici (una possibilità indistinta di incremento fino al 20% dell'edificabilità prevista dalle norme comunali) che monetari (una riduzione sul contributo di costruzione fino al 50% degli oneri comunali). Le questioni di rigenerazione vengono pertanto ridotte ad una semplicistica attribuzione di premi probabilmente inefficaci, stanti le condizioni di mercato immobiliare attuali e presumibilmente di medio periodo per la maggior parte del territorio regionale, soprattutto nei contesti più fragili. Penalizzano invece quelle situazioni locali nelle quali gli oneri urbanizzativi costituiscono oggi una fonte importante per sostenere le spese comunali di riattrezzatura e potenziamento del telaio infrastrutturale e di servizi primari.

Il secondo aspetto critico deriva dall'applicazione indifferenziata a tutto il territorio regionale di queste modalità di incentivo, noncuranti proprio della caratterizzazione specifica legata alle condizioni urbanistiche e territoriali, economiche e di mercato in cui si articola il contesto lombardo.

Il terzo ordine di questioni, infine, attiene alla compressione dell'autonomia comunale che le disposizioni di legge regionale promuovono, anche se motivate da una condivisibile finalità di assegnare al livello di governo sovralocale le questioni rilevanti di dismissione e abbandono. Infatti, di fronte agli incentivi indicati per legge, l'autonomia comunale è fortemente indebolita nella sua capacità di individuare modalità e politiche anche alternative o di decidere dispositivi - anche di fiscalità locale - meglio adattabili alle condizioni dei singoli Comuni. Inoltre, il governo locale è appesantito da ulteriori oneri di individuazione e valutazione e da responsabilità di attivazione di tali verifiche, con percorsi amministrativi non lineari. Sarebbe invece importante un sostegno economico di scala regionale per quelle iniziative bottom up, coerenti alle finalità generali, che vanno nella direzione di una progettazione sostenibile, così da incentivare concretamente una reale progettazione intercomunale.

Le proposte di riforma di INU Lombardia
Nel 2015, in vista di una possibile riforma della legge regionale, INU Lombardia ha presentato un Documento intitolato ‘Per una riforma della Legge 11 marzo 20015 n. 12', frutto di un lavoro di coordinamento e collaborazione con altri soggetti interessati alla pianificazione del territorio (segnatamente la Federazione Regionale degli Ordini Dottori Agronomi e Dottori Forestali, la Consulta regionale lombarda degli Ordini Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, il C.R.O.I.L., l'Ordine dei Geologi della Lombardia, la Consulta Regionale Geometri e Geometri laureati). Il Documento, articolato in tre passaggi (1. Temi e tempi della riforma; 2. La prospettiva di medio-lungo periodo; 3. La prospettiva per il breve periodo), delinea la necessità di una revisione della legge lombarda per dare forma e sostegno ad una nuova pianificazione locale in grado di elaborare, affinare e sperimentare modalità che privilegino una chiara selettività e operatività degli interventi e sappiano valorizzare gli strumenti di riqualificazione e rigenerazione ambientale, che necessariamente devono essere di scala vasta.

Il Documento auspica, innanzitutto, l'attivazione di un "processo di conformazione progressiva, la cui specificazione aiuta a chiarire e rende ancora più effettiva la non conformatività delle previsioni di DP". Più in generale, chiede di riformulare le basi della tripartizione strumentale, prevedendo una separazione netta ed esplicita tra impianto strutturale e strategico e dimensione prescrittiva e programmatico - operativa locale. Se per quest'ultima dimensione conformativa INU Lombardia propone di pensare ad un unico strumento regolativo per interventi di natura privata e pubblica o coordinata, superando la dualità Piano delle regole e Piano dei Servizi, per il livello strutturale strategico, la proposta prevede di indicare una sola competenza sovralocale, giudicando insufficiente l'attenzione posta dalla legge alle implicazioni di scala vasta delle pianificazioni locali, soprattutto nei contesti metropolitani come quello milanese.

Allo stato attuale, a seguito di una modifica rilevante delle condizioni territoriali e del contesto socioeconomico, nonché delle ulteriori integrazioni alla legge apportate dalla l.r. n. 31/2014 sul consumo di suolo e dalla l.r. n. 18/2019 sulla rigenerazione urbana, e della perdurante questione metropolitana, INU Lombardia ha ritenuto in questi ultimi mesi di avviare un confronto al proprio interno per riflettere sulle possibili linee di riforma. Osservando entrambi i dispositivi legislativi, sembra evidente che il processo di riforma in Lombardia si collochi nel solco di un rinnovato spirito neocentralista, per rendere effettivo il quale però, appaiono carenti i concreti percorsi di sostegno ad un progetto di rigenerazione urbana di inusitata portata: mancano, infatti, investimenti regionali diretti di messa a disposizione di risorse finanziarie, operative/gestionali e umane. Appare, inoltre, assente una programmazione degli interventi, per disegnare una strategia dello sviluppo e trasformazione urbana, con positive ricadute pubbliche. Nella fase di crescita delle operazioni immobiliari, si è registrata una scarsissima capacità programmatica e selettiva da parte dei Comuni, che la legge non è stata in grado di promuovere. Nella fase attuale di stagnazione (che ha investito larga parte del territorio lombardo in questi ultimi anni, con alcune eccezioni conclamate come Milano, che tuttavia hanno subito gli effetti negativi della pandemia) la programmazione dovrebbe avere un ruolo importante per scegliere i pochi investimenti di opere pubbliche finanziabili (anche attraverso bandi e progetti europei) e sostenere la rigenerazione di tessuti esistenti. Un'operazione difficile in presenza della l.r. n. 18/2019, che penalizza il soggetto pubblico, riducendo vistosamente gli oneri ricavabili dagli interventi edilizi e consentendo ai privati di investire in operazioni che saranno negoziate singolarmente, in un orizzonte ambiguo e incerto.

LA SCHEDA SULLA LEGGE URBANISTICA VIGENTE E I DATI DELLA REGIONE a cura di Marco Engel, Fabio Pellicani, Laura Pogliani e Ugo Targetti

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