Appalti

Riforma appalti, l'illecito da 231 contestato potrà far scattare l'esclusione dalle gare

Lo prevede il Dlgs approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri

di Sandro Guerra

Una contestazione relativa a un illecito 231 potrà essere sufficiente a far scattare la sanzione dell’esclusione da una gara d’appalto. A prevederlo è il decreto legislativo che riforma il Codice dei contratti pubblici, predisposto dalla commissione speciale del Consiglio di Stato per l’attuazione della delega (legge 78/2022) e approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre scorso.

Il provvedimento (ora all’esame delle commissioni parlamentari), fa parte delle cosiddette riforme abilitanti previste dal Pnrr e dovrà essere quindi approvato entro il 31 marzo 2023. L’intervento tiene conto dei lavori del tavolo tecnico congiunto tra Consiglio di Stato, presidenza del Consiglio dei ministri, ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e le altre amministrazioni interessate.

Il testo è composto da 229 articoli e 28 allegati di natura regolamentare, così da rendere la disciplina applicabile subito e n modo autonomo.

Gli illeciti 231

Per ciò che concerne la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato la novità assoluta è costituita dall’inserimento della «contestata o accertata commissione» dei «reati previsti» dal Dlgs 231/2001 tra gli illeciti professionali che potrebbero determinare l’esclusione da un appalto (articolo 98, comma 4, lettera h, numero 5 del testo del Dlgs approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri).

Quindi, nell’ambito della responsabilità degli enti derivante da reato, l’illecito professionale «si può desumere al verificarsi» della mera contestazione di uno dei reati previsti dal Dlgs 231/2001.

In precedenza, il Dlgs 231/2001 non era mai stato menzionato in questi termini:

l’articolo 38 del Codice del 2006 si limitava a contemplare l’ipotesi di esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessione e degli appalti di lavori, forniture e servizi (ed il corrispondente divieto di affidamento anche in subappalto e di stipula dei relativi contratti) per gli operatori economici nei cui confronti fosse stata applicata la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione prevista dall’articolo 9, comma 2, lettera c) del Dlgs 231/2001;

l’articolo 80, comma 5, lettera f), del Codice appalti del 2016, a tutt’oggi in vigore, replicava tale previsione e il possesso di modello di organizzazione e gestione conforme al Dlgs 231/2001 veniva elevato, nel caso di contratti di servizi e forniture, a presupposto per ottenere la riduzione del 30% dell’importo della garanzia fideiussoria o cauzione (cosiddetta garanzia provvisoria, pari al 2% del prezzo base) necessaria per partecipare alla procedura (articolo 93, comma 7, Dlgs 50/2016).

Il Dlgs che riforma il Codice dei contratti pubblici, non si limita, quindi, a confermare la normativa attuale, in base alla quale la misura interdittiva causa l’esclusione automatica dall’appalto, ma si spinge oltre, come dimostrano le cautele definitorie previste dall’articolo 95, comma 1, lettera e) secondo il quale devono essere «indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi».

L’esclusione non opererà in via automatica (articolo 95, comma 1) perché la valutazione è rimessa alla stazione appaltante e scatterà se gli illeciti sono gravi e tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’offerente.

L’articolo 98, comma 7, del Dlgs di riforma del Codice appalti, indica, però, tra i mezzi di prova adeguati per dimostrare l’illecito «oltre alla sentenza di condanna definitiva, al decreto penale di condanna irrevocabile, alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta», non solo eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale e il decreto che dispone il giudizio all’esito di udienza preliminare, ma anche atti di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, come ad esempio il decreto di citazione diretta a giudizio o la richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

Atti, questi ultimi, che sono però frutto della determinazione unilaterale del pubblico ministero. In attesa della decisione giurisdizionale che, a volte, arriva anche a distanza di anni, l’operatore economico (ossia l’azienda) rischia quindi di essere escluso dalle gare d’appalto.

Più soggetti «contestabili»

La riforma amplia inoltre la platea dei soggetti la cui condotta è rilevante per far scattare l’esclusione.

La «contestata o accertata commissione» dei reati previsti dal Dlgs 231, riguarda, infatti non solo l’operatore economico ma anche i soggetti che operano per suo conto e cioé quelli indicati dall’articolo 94, comma 3 del Dlgs di riforma del Codice appalti, che comprende anche il direttore tecnico, i membri del consiglio di amministrazione, i componenti degli organi con poteri di vigilanza, il socio unico e persino l’amministratore di fatto.

Il modello organizzativo

Se il testo attuale sarà confermato, gli enti – tenuto conto della vastità di situazioni valutabili come illecito professionale – dovranno poi cominciare a pensare al modello conforme al Dlgs 231/2001, quale insieme di «provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti» (articolo 96, comma 6). Si tratta cioé di un formidabile congegno di self cleaning che la stazione appaltante – sia pure nell’ambito dell’ampia discrezionalità storicamente riconosciuta in argomento dalla giurisprudenza amministrativa (di recente, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 30 maggio 2022, n. 4363) – potrebbe considerare idonea ad evitare l’esclusione, fatta eccezione per i casi più gravi per i quali non ci sono margini di discrezionalità (articoli 94, comma 5, e 95, comma 2).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©