di Mauro Calabrese

Ambiente - Rifiuti - Principio di precauzione - Pericoli - Rischi potenziali - Tutela anticipatoria - Nesso causalità - Migliori tecniche disponibili («Best Available Techniques» - Bat)

In materia di tutela dell’ambiente e delle salute, il diritto dell’Unione Europea mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni, fondato sui principi di precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati alla salute. In particolare, il principio di precauzione, come complementare al principio di prevenzione, impone alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati per prevenire rischi potenziali per la salute pubblica, la sicurezza e l’ambiente, assicurando una tutela anticipata anche rispetto all’applicazione delle migliori tecniche previste («Best Available Techniques», indipendentemente dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli, anche solo possibili, per l’uomo o l’ambiente. Pertanto, in applicazione del principio di precauzione, è legittima la sospensione da parte della Regione competente, anche ai fini della revisione e definitiva revoca, del procedimento di proroga e rinnovo dell’Autorizzazione alla gestione di una discarica per rifiuti speciali inerti, ai sensi dell’articolo 208 del Dlgs n. 152 del 2006, cd Testo Unico dell’Ambiente, a fronte dell’avvio di un procedimento penale a carico dei responsabili della discarica per le fattispecie di reato di cui all’articolo 256, commi 1-3 del Codice ambientale, laddove ogni volta non siano conosciuti con certezza i rischi dovuti a un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione delle Autorità competenti deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche.

Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica, Sentenza 29 aprile 2021, n. 32  

 

Ambiente - Rifiuti - Combustione Illecita - Rifiuti abbandonati - Rifiuti Pericolosi - Danno all’ambiente - Reato di pericolo concreto - Incolumità pubblica

Per la punibilità della condotta di aver dato fuoco a un cumulo di rifiuti, anche pericolosi, come flaconi di plastica, contenitori di prodotti chimici ed altri residui di attività edilizia ai sensi del reato di combustione illecita di rifiuti; di cui all’articolo 256-bis del Dlgs n. 152 del 2006, cd Codice dell’Ambiente, che si configura con la condotta di appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata, non si richiede, per l’integrazione del reato, la dimostrazione del danno all’ambiente e del pericolo per la pubblica incolumità, essendo una fattispecie di reato di pericolo concreto, per la quale non rileva l’evento dannoso del danno all’ambiente, oltre a non richiedersi la concretizzazione del pericolo di incendio.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 aprile 2021, n. 16346

 

Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Abbandono - Ordinanza Sindacale - Rimozione - Mancata ottemperanza - Legittimità - Disapplicazione

In tema di smaltimento dei rifiuti, la sanzione per violazione dell’ordinanza del Sindaco di rimozione e di ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi degli articoli 192 e 255 del Dlgs n. 152 del 2006, va applicata ai destinatari che non ottemperino a tale provvedimento, in quanto in esso individuati come responsabili dell’abbandono o dell’immissione nelle acque dei rifiuti ovvero come titolari del terreno o di diritti di godimento sull’area inquinata, punendo la fattispecie solo l’ipotesi della mancata ottemperanza alla ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, laddove il Giudice penale è chiamato a valutare il legittimo esercizio del potere amministrativo, come nel caso di lamentato omesso avviso di avvio del procedimento, ai fini della disapplicazione del provvedimento eventualmente illegittimo, solo in rapporto alla peculiarità della fattispecie penale, assumendo rilievo solo quei vizi dell’atto la cui esistenza possa incidere di per sé su posizioni giuridiche soggettive.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 aprile 2021, n. 16350  

 

Ambiente - Rifiuti - Traffico illecito - Inquinamento ambientale - Rifiuti pericolosi - Eternit - Accertamento - Danno ambientale - Potenziale

Con riguardo alle ipotesi di inquinamento ambientale e di traffico illecito di rifiuti, ai sensi degli articoli 452-bis e 452-quaterdecies del Codice Penale, una volta accertato lo smaltimento di rifiuti, anche pericolosi, in spregio della normativa ambientale, come attestato dal rinvenimento di un cumulo di materiali di risulta ed Eternit, non è necessario accertare altresì l’evento di danno proprio dell’inquinamento ambientale, potendo i Giudici, specie nella fase cautelare, prescindere da specifici accertamenti al riguardo, a fronte del provato sversamento di amianto e inerti misti a materiali ferrosi in siti non autorizzati, in parte ricadenti in territori protetti e senza alcuna precauzione, condotte del tutto idonee a produrre il deterioramento dei siti interessati e ad impedirne la fruizione.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 aprile 2021, n. 16412

   

Ambiente - Rifiuti - Rifiuti Pericolosi - Amianto - Abbandono - Indice di pericolosità - Codice CER - Tenuità dell’offesa - Esclusione

Ai fini della punibilità della condotta di deposito sul suolo in modo incontrollato di rifiuti speciali pericolosi, costituiti da inerti provenienti da demolizioni e contenenti tracce di amianto, ai sensi dell’articolo 6 del Dl n. 172 del 2008 (convertito in Legge 30 dicembre 2008, n. 210, recante «Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale»), è sufficiente l’accertata presenza fra i detriti accumulati sul terreno di materiali fortemente inquinanti, quali l’amianto, non sussistendo la particolare tenuità dell’offesa, così dovendo escludersi, in ragione del rischio particolarmente allarmante per la salute pubblica, la configurabilità dell’indice-requisito previsto dalla speciale causa di non punibilità, per particolare tenuità del fatto, di cui al primo comma dell’articolo 131 bis del Codice Penale. L’accertamento della pericolosità del materiale abbandonato, oggetto di campionamento e successiva analisi per la verifica della presenza di amianto, è di per sé sufficiente alla qualificazione del rifiuto come pericoloso essendo i «materiali da costruzione contenenti amianto» contemplati nella tabella di classificazione di cui all’Allegato D del Dlgs n. 152 del 2006 con il codice «CER 17 06 05*» tra i rifiuti espressamente definiti come pericolosi, con tale qualificazione prescindendosi da qualunque accertamento sulla pericolosità del materiale in concreto, in quanto trattasi di valutazione effettuata ex ante dallo stesso legislatore.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 4 maggio 2021, n. 16849

 

Ambiente - Rifiuti - Scarico - Reflui - Corpo recettore - Assenza di collegamento - Deposito incontrollato - Deposito Temporaneo - Tracciabilità

La nozione di scarico contenuta nella lettera ff) dell’articolo 74, comma 1, del Dlgs n. 152 del 2006, consiste, testualmente, in «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria», aggiungendo poi dovere essere esclusi da detta nozione i rilasci di acque previsti dall’articolo 114. Pertanto, per aversi «scarico», ai fini della punibilità, ai sensi dell’articolo 137 del Testo Unico dell’Ambiente, di uno scarico illegale di reflui industriali da un’attività di autolavaggio abusiva, è necessaria una fisica «immissione» in un corpo ricettore, presupposto questo, logicamente derivante dallo stesso vocabolo «scarico», caratterizzato dalla «s» con valore privativo e da «carico» ed implicante, quindi, una condotta che comporta una operazione di «sottrazione». Al contempo, la raccolta dei liquami, provenienti da un autolavaggio gestito in assenza della prescritta Autorizzazione Unica Ambientale, all’interno di una vasca interrata priva di collegamento con un corpo collettore, seppure non configuri uno scarico illegale, al tempo stesso la condotta di sversamento dei reflui nella vasca è punibile quale abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti ai sensi dell’articolo 256 Dlgs.152 del 2006, non potendo, data l’assoluta non tracciabilità del ciclo di smaltimento dei rifiuti liquidi abbandonati nella vasca interrata, trattarsi di un deposito temporaneo di rifiuti che avrebbe dovuto essere tenuto secondo i criteri e le condizioni specificati nell’articolo 183, lettera m) del Codice dell’Ambiente.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 maggio 2021, n. 17178

 

Ambiente - Rifiuti - Discarica abusiva - Accumulo - Quantità - Danno potenziale - Assenza di - Irrilevanza

Ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, ai sensi dell’articolo 256, comma III, del Dlgs n. 152 del 2006, come nel caso di numerosi cumuli di terra e pietre da scavo, materiale ferroso e plastica abbandonati su un terreno, è necessario l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, anche se non abituale, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata.

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 6 maggio 2021, n. 17387

  

Urbanistica -Pianificazione comunale - Miglioramento ambientale - Divieto di insediamento - Impianti trattamento rifiuti - Investimenti imprenditoriali - Salvaguardia

In tema di pianificazione urbanistica, seppure altamente discrezionale, gli Enti Locali, nell’ottica di realizzare un ordinato e funzionale assetto del territorio comunale, devono garantire un’imparziale ponderazione degli interessi, anche se motivato dall’obiettivo di migliorare la qualità dell’ambiente e la vivibilità delle aree oggetto di insediamenti industriali, dovendo tenere conto degli investimenti imprenditoriali esistenti. Pertanto è illegittima la pianificazione urbanistica del Comune che vieti l’insediamento di impianti e stabilimenti di stoccaggio, trattamento o gestione dei rifiuti, con l’effetto, anche in via indiretta, di espellere dal contesto territoriale anche le attività già insediate ed attive, non potendo i limiti e le condizioni cui gli strumenti urbanistici subordinano l’attività edilizia o imprenditoriale incidere anche su opere già eseguite in conformità alla disciplina previgente, legittime anche se difformi dalle nuove prescrizioni, restando ferma anche la possibilità di effettuare gli interventi necessari per integrare o mantenerne la funzionalità degli insediamenti produttivi esistenti.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 7 maggio 2021, n. 3585

 

 Ambiente - Rifiuti - Cura del verde - Compiti istituzionali - Finanziamento eccezionale - Valorizzazione biomasse - Convenzioni contrattuali - Interpretazione del contratto

Con riguardo alla corretta interpretazione delle convenzioni tra la Regione Lazio e Roma Capitalia per il finanziamento di progetti di incentivazione all’utilizzo di prossimità delle biomasse provenienti dalle potature arboree delle aree verdi comunali, per trasformarle da rifiuti in energia, vanno applicati i principi del Codice Civile in materia di interpretazione dei contratti, ai sensi dell’articolo 1362, per cui l’interpretazione deve ricostruire la comune intenzione delle parti, non limitandosi al senso letterale delle parole, ma tenendo presente il comportamento complessivo delle parti, e la norma dell’articolo 1367, che impone di preferire l’interpretazione per cui una clausola produce effetto, rispetto a quella per cui la clausola non ne produce alcuno. Pertanto, non avendo il Comune realizzato il progetto di valorizzazione delle biomasse ed essendo la manutenzione, lo sfalcio e le potature degli alberi e del verde un compito istituzionale del Comune, quale manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio alla quale ogni Ente pubblico è tenuto, se non altro per il principio di buona amministrazione di cui all’articolo 97 Cost, è legittima la pretesa di restituzione dei finanziamenti concessi da parte della Regione Lazio nei confronti di Roma Capitale, non potendo le convenzioni contrattuali, correttamente interpretate, finanziare con mezzi eccezionali un’attività normale dell’Ente finanziato, che si sarebbe dovuta comunque porre in essere.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 7 maggio 2021, n. 3577