Il CommentoFisco e contabilità

La Consulta non concede l’esenzione Imu per le seconde case

di Enrico De Mita

Con la sentenza 209 del 13 ottobre scorso la Corte costituzionale ha suscitato una ridda di reazioni, alcune delle quali rischiano di deformarne contenuto e ratio. «Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile». Da ciò l’accoglimento delle questioni che la Corte aveva sollevato davanti a sé, dichiarando incostituzionale la disciplina Imu prima casa là dove parlando di «nucleo familiare» finiva per penalizzarlo, in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.

L’intervento della Consulta diventa complesso e di non immediata comprensione se letto con il filtro delle due dottrine, l’una pregiudizialmente pro fisco e l’altra pregiudizialmente contra fiscum. La Corte è stata chiara: né per una finalità antielusiva poteva essere difesa la norma violativa della Costituzione, né, deformando l’applicazione della declaratoria di incostituzionalità, si può inventare un diritto al rimborso generalizzato, come se fossero prime case tutte le cosiddette “seconde case”, che si troveranno – verosimilmente – al lago, al mare, in montagna o in campagna.

La sentenza non aiuta la rappresentazione fittizia di chi ha iscritto le cosiddette seconde case come abitazioni principali, siano essi conviventi di fatto, persone unite in matrimonio o con unioni civili. Con le sue stesse parole (209/22) la Corte «ritiene opportuno chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale ora pronunciate valgono a rimuovere i vulnera agli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione imputabili all’attuale disciplina dell’esenzione Imu con riguardo alle abitazioni principali, ma non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta».

La riforma del processo tributario responsabilizza in modo chiaro gli attori della funzione impositiva, tra i quali rientra il contribuente cui spetta l’onere probatorio e motivazionale di « fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati» (Articolo 7, comma 5-bis, Dlgs 546/92). Devono emergere le ragioni oggettive della pretesa di rimborso. Nella specie, la pronuncia della Corte è chiara e univoca. I contribuenti e i loro consulenti non possono cadere nell’errore di invocare il diritto “apparente” o peggio il diritto non letto, prima ancora che non scritto.