Fisco e contabilità

Manovra, battaglia da 400 milioni sulle modifiche in Parlamento

Dall’una tantum sugli stipendi costi aggiuntivi da 100 milioni sui conti del prossimo anno

di Gianni Trovati

Il principio che ha ispirato tutto l’impianto della manovra, e che concentra gli sforzi su caro energia e dintorni lasciando al resto le briciole, torna in modo fedele nel capitolo dedicato agli enti locali. Che infatti ottengono una cifra simile a quella sperata per sostenere le bollette d’oro dei primi tre mesi (400 milioni, di cui 50 a Città metropolitane e Province) ma sono in allarme sulle altre parti del bilancio. Lontano da luce e gas, la notizia migliore è nella stabilizzazione dei 110 milioni del Fondo Imu/Tasi, che finalmente viene sottratto dal mercato autunnale intorno alla legge di bilancio, e si accompagna a un aumento di 50 milioni per il Fondo di solidarietà comunale. Ma i punti dolenti sono altri.

I primi conti parlano di circa 400 milioni su cui muovere battaglia nel concitato percorso parlamentare della manovra. La cifra in sé non sembra astronomica. Ma equivale all’intero stanziamento per gli emendamenti al Ddl di bilancio approvato dal governo. E soprattutto può fare la differenza per i Comuni, non sono pochi, in difficoltà finanziaria.

Prima di tutto, un peso aggiuntivo intorno ai 100-110 milioni (180 comprendendo anche Province e Regioni) arriva dall’una tantum dell’1,5% decisa sugli stipendi dei dipendenti pubblici in mancanza di fondi per avviare davvero il rinnovo contrattuale. Il meccanismo, che promette circa 700 euro lordi nel 2023 a segretari e dirigenti ma si ferma in media a 363 euro per il personale non dirigente, è a carico dei bilanci locali. E unito agli aumenti strutturali prodotti dal contratto 2019/21 porta l’anno prossimo a un miliardo di spesa aggiuntiva per il personale.

Un migliaio di Comuni, poi, sperano nella replica del fondo da 50 milioni di euro che quest’anno ha sostenuto i loro conti in crisi. Ma nel disegno di legge approvato dal governo non ce n’è traccia.

Un terzo punto critico è rappresentato dall’ennesima replica della battaglia sulla perequazione. Il principio chiesto annualmente dai Comuni chiede che la progressione nell’incidenza del rapporto tra capacità fiscali e fabbisogni standard si sviluppi premiando gli enti più in linea ma senza tradursi in tagli per nessuno. Questa idea è oggetto da sempre di dibattiti accesi fra gli amministratori locali e il ministero dell’Economia; dibattiti che in genere si traducono in finanziamenti aggiuntivi per parare il colpo. A questo scopo risponde l’aumento di 50 milioni nel Fondo di solidarietà, che però nei calcoli dei Comuni non basta: ne servirebbero altri 50-100. La leva proposta dagli enti nel confronto tecnico dei giorni scorsi poggia sul completamento delle compensazioni alla spending review scaduta nel 2018, che con il calendario attuale si completerebbe solo nel 2024. Ma servono spazi di finanza pubblica.

Sempre in fatto di spending review, poi, c’è quella «informatica» , introdotta dalla legge di bilancio 2021 che sotto il cappello dei risparmi per la digitalizzazione ha messo in realtà un taglio lineare da 150 milioni (cento per i Comuni). Un’altra tagliola che l’Anci proverà almeno a smussare nella breve finestra temporale concessa all’esame parlamentare della prima manovra del governo Meloni.

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