Appalti

Cassazione: lavoro da rifare quando il difetto incide «sul godimento del bene»

di Edoardo Valentino

Questa volta l’impresa rifà tutto il lavoro: contrariamente al solito, quando il risarcimento per un lavoro malfatto, tuttavia, consiste abitualmente nel ripristino della sola parte danneggiata o nel rimborso del corrispettivo del danno, la Cassazione, con ordinanza numero 15846 del 22 giugno 2017 (relatore Antonio Scarpa), afferma un principio differente.

La controversia parte dalla citazione in giudizio da parte di un proprietario dell’impresa che aveva costruito lo stabile: i pavimenti dell’appartamento erano imperfetti, presentando diverse piastrelle rotte e irregolarità strutturali. Alla luce di tale danno il proprietario domandava il risarcimento del costo dei lavori di ripristino.

Dopo aver perso in Tribunale, il costruttore agiva in appello, chiedendo la riforma della sentenza. La Corte d’appello, tuttavia, affermava che i vizi rilevati erano tanto gravi e tanto diffusi da costituire «gravi difetti» ai sensi dell’articolo 1669 del Codice civile e quindi dichiarava il convenuto tenuto all’integrale rifacimento del pavimento.

L’impresa appaltatrice, quindi, non si arrendeva e ricorreva in Cassazione. In particolare, il ricorso era fondato su tre motivi. In prima battuta il ricorrente contestava come la presenza di un esiguo numero di piastrelle rotte non potesse comportare l’applicazione dell’articolo 1669 del Codice civile, data la scarsa importanza dell’inadempimento.

Il secondo motivo era incentrato sulla impossibilità di considerare l’inadempimento come grave, data l’assenza di incidenza sulla funzionalità del bene.

Come terzo e ultimo motivo, invece, il costruttore contestava la decisione della Corte d’Appello di condannarlo al rifacimento dell’intero pavimento, considerando questo come unico modo per ovviare ai vizi riscontrati.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza in commento, rigettava integralmente il ricorso sopra riassunto.

Secondo la Corte, infatti, i vizi riscontrati sul pavimento in oggetto erano tanto gravi da potere integrare la definizione dei “gravi difetti” di cui all’articolo 1669 del Codice Civile.

In particolare essi consistevano in difetti costruttivi, difetti imputabili alle tecniche adoperate e al materiale impiegato.

Tali vizi, per la Corte, erano tanto gravi da compromettere l’integrità della struttura e rendere difficoltoso il suo utilizzo.

Secondo la Cassazione, infatti, a rilevare non era la scarsa diffusione delle piastrelle rotte (in numero esiguo rispetto al totale) quanto i gravi difetti di costruzione i quali «danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., in presenza di qualsiasi alterazione che incida sulla funzionalità globale dell’immobile, o ne menomi in modo considerevole il godimento».

In conclusione, in caso di vizi nel bene oggetto di appalto, al fine di determinare il tipo di risarcimento (mera riparazione dei vizi o rifacimento integrale della struttura) occorre prendere come parametro non solo la percentuale della parte viziata rispetto a quella costruita a regola d’arte, ma piuttosto l’incidenza dei vizi a rendere difficoltoso il godimento del bene e menomare la sua funzionalità.

In questi casi, quindi, l’impresa non deve solo compiere una attività di riparazione delle singole imperfezioni, ma provvedere all’integrale rifacimento dell’intera opera.

Tale valutazione, peraltro, deve essere svolta dal giudice di merito, non essendo demandabile alla Cassazione.

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